“[…] Il messaggio lontano della fogna
che, muta e pregna, vomita nel mare.” (p. 16)
È l’olfatto il senso più desto in D’Andrea, i ricordi aggallano, la storia è una congerie escrementizia. Ma dal titolo ci si aspetterebbe un passaggio. Altro, rispetto al subbuglio che, sin dagli esordi, ha caratterizzato la sua poesia. Invece ombra, questo essere a metà. Una sosta, quasi a rischiararsi e ristorarsi, credi. Ma all’ombra il poeta indugia troppo; non un transito ma una “seduta”, più mestiere che vocazione.
Una storia, la sua, che è talmente irrorata dalle più diverse tracce mnestiche da caricarsi sul dettato e ingarbugliare la forma, che quasi mai combacia con la sostanza.
È evidente che la malìa filosofemica affascini questa poesia e la sporchi, a quando una bonifica? Inoltre, la contemporaneità con tutti i suoi gingilli e le sue perfidie batte sotto, titilla il civismo poetico, ma non si scioglie nel…
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