Diario – Autunno: 24) Di tritume aggrondato

Anonimo, Trionfo della Morte (1446 c.)
Concerto doppio in C Minor, HWV deest: IV. Tempo di Menuet · Dorothee Oberlinger · Georg Friedrich Händel · Makiko Kurabayashi

Diario – Autunno: 24) Di tritume aggrondato

L’Autunno chiude i battenti ai cieli
di stelle affoscate e tritume aggrondato
sbalza e sente il disgusto
«ancor oggi, ogni notte»¹
per le nozze tenebrose di vita e morte.

Dalla terra profonda, ogni notte, echeggia la presenza di un dio. Niente di apollineo ma la paura del vuoto di stanze illuminate viste dalla distanza della casa-capsula, con schianto d’inferriate e scantu d’abominio e rapina.
Ecco la stagione «vegetaliforme» (A. M. Ripellino, Notizie dal diluvio) e iridescente, di querce che sovrastano messi un tempo feraci, di un mondo retrocesso al tempo dei contagi, di distanze virali, di abissi mortiferi.
Ecco le confraternite biancoitaliche a ciurme diradare e recludersi, a guardare alieni dalle torri schermate gli imbavagliati, le torme intorbidate in nuove miserie ammucchiate, scarti e deiezioni di immisurabili consumazioni.
Ecco l’occhio del ciclone, la calma nella distruzione, per osservare l’impatto del male, i luoghi della sglaciazione. Quando un tempo borea pesantemente armava i candidi ghiacci prima che squarci rigassero la foresta e la terra prima arata fosse poi spogliata di ogni biosistema.
Ecco il deserto freddo disteso in una bellezza spietata, annuncio di un decreto infrenabile echeggiante nei versi estremi del nibbio. Ultima enfasi del suono che sfuma «sulle rive del Nulla» (A. M. Ripellino, Lo splendido violino verde), sulla decadenza di città ridotte a spettri, smangiate da paludi e brughiere.
Crescono le acque sotto i tuoni d’Autunno, sotto un clima violento, e l’accensione improvvisa che rovina i colori, le forze nuove di nuovi dei fatali.


Nota:

¹ A. M. Ripellino, Praga magica.

Diario – Autunno: 23) E la gran fatica

Georges de la Tour, Donna che si spulcia (1638 c.)
Concerto doppio in C Minor, HWV deest: III. Adagio · Dorothee Oberlinger · Georg Friedrich Händel · Ensemble 1700 · Makiko Kurabayashi

Diario – Autunno: 23) E la gran fatica

La nostra casa si regge su mura sempre più fredde. E sotto il suo tetto di polvere dormono esseri investiti dai venti della mezzanotte. La nostra casa pare spegnersi sotto nubi di contagio e la proibizione e la giacenza di un misero autunno. E la gran fatica in questi giorni che obliano la terra, la gran fatica delle parole. Autunno. La stanchezza del rosso e del giallo che bruciano aceri, faggi, castagni e larici tra vette spaventose e viali morti e mille volti e boschi inceneriti e tarsi piumati che annunciano la caccia fatale, rapace. In questo «ammassamento cremoso» (S. D’Arrigo, Horcynus Orca) di carcasse marcescenti e accatastate o sfrattagliate nell’umidore buio, mentre i corpi dormono avvolti nell’aria vaporosa della mezzanotte, ecco grandi ombre squagliarsi sulla superficie delle strade, risalire le pareti di palazzi e cascine, divorare la città-carogna. Ombra-aquila che si abbatte sui boschi neri, sulle tangenziali filiformi notte dopo notte, dalle vette fredde giù nelle paludi, nei focolai d’infezione e odori tristi. Catabasi tra gas e pestilenza, la taiga urbana che emana «fragranza di Persefone» (W. Stevens, Cose d’agosto) e che chiude una volta per tutte l’estate, tappezzando l’asfalto. La luce si fa blu e verde e mastica il senso dell’emisfero, dell’occasione, della fine. E albeggia. Mentre i corpi fluttuano, sono forme luminose rallentate, screen saver del mondo e l’attesa è una fatalità che si muove in cerchio, attivando un percorso capovolto fino allo zenit dell’illusione originaria. Le foglie sverdiscono, la luce si fa blu fino a confondersi con la fine del cielo, è in arrivo una maniera diversa, un approccio imprescrittibile che odora di scomparsa e tristezza, di un mondo che pareva insostituibile, ecc.
È in arrivo il bianco incolore, il neutrale, il rosso:

fumo nel fumo
buio d’animale
porta di sangue
grido siderale

(V. Bonito, La bambina bianca)

Diario – Autunno: 22) Per eccessiva maturazione

Michail Aleksandrovič Vrubel’, Hänsel e Gretel (1896)
Concerto doppio in C Minor, HWV deest: II. Allegro · Dorothee Oberlinger · Georg Friedrich Händel · Makiko Kurabayashi

Diario – Autunno: 22) Per eccessiva maturazione

In settembre l’aria è ancora greve, il mondo pare appesantirsi e corrugarsi in meandri pastosi. Sotto il cielo e la terra cunicoli, labirinti di vasi cribrosi attraversati da masse di cimici e cocciniglie. Il pesciolino d’argento fluttua nei recessi della dimora zuccherina, il suo paradiso sinantropico ricco di amidi, la sua Hänsel und Gretel Haus. E così, «per decadimento, per eccessiva maturazione, per marciume» (J. Didion, A Sud e a Ovest – Pagine da un diario), per enfiagione prende avvio la fine. Siamo dentro l’origine della decadenza. Ogni esordio, per quanto appariscente, presenta sempre «un mondo che casca a pezzi senza saperlo» (B. Traven, La nave morta), così anche l’autunno incipiente con i suoi calori tardivi e troppo umani, mascherava un benessere apparente, mentre a incombere era qualcosa di inimmaginabile.
Entrare e uscire di casa, camminare tra le vie lineari e i parchi, tra filari di tigli e platani, immersi nei residui d’ombra di pioppi e ippocastani, così passavano i giorni, sgranati come grappoli in attesa di una consumazione definitiva. E invece sempre temporanea, rigenerabile come la forma delle nubi prima di ogni catastrofe, come la piega del lenzuolo al mattino dopo una notte condizionata da incubi e posture inadeguate. La sorte e galassie immaginate ci rendevano estranei a noi stessi nei passi consueti, nelle abitudini primarie che producevano erosioni primarie, abrasioni della terra, assenze senza affanno, dimore senza storia, sonnolenze suburbane, pace di pianura e fermentazione di palude.
Così trascorrevano le ore, le nostre piccole paure e l’urgenza di sapere dove saremmo finiti, dove avremmo lasciato i figli per continuare a lavorare fino alla desiderata consumazione – familiare, confidenziale, alienante, ecc.

«E l’esilio, in fin dei conti, è a suo modo un successo».

(I. Brodskij, Dall’esilio)

Diario – Autunno: 21) Incoscienza del declino

Kenne Gregoire, Tinder (2017)
Concerto doppio in C Minor, HWV deest: I. Adagio · Dorothee Oberlinger · Georg Friedrich Händel · Makiko Kurabayashi

Diario – Autunno: 21) Incoscienza del declino

Si stava svuotando tutto. L’anima cadeva dagli oggetti e si dileguava strisciando e portando via la stanza. Doveva uscire, cambiare atmosfera, cercare un punto di fuga. Oppure

incenerare la zona imbestiata,
ritornante in bestia accumulata
accatastante cadaveri, avvelenante
di cianuri e sentenze, colate
di fuoco, u focu u focu
si mancia sta terra, viva,
impazzita di sete, supina
comu i so’ figghi scappati
o rimasti acerbi nella zona,
allappati nella bocca,
nella sua fitinzìa
a zzucari scantu e razzia
pigrizia e bummacarìa1.

No, si tornava alla procedura dei giorni, al loro susseguirsi appiattito. Accensioni negli attimi statici fissando crepe metafisiche. Era la fine candida e rasserenante. L’ordine nei quartieri, il silenzio rotto solo dal passaggio cadenzato delle spazzatrici stradali. Il silènsio sincér e piano, ritmo di pace e fine e lavoro e sacrificio senza scandalo. Ritmo attutito, senza «astratti furori» (E. Vittorini, Conversazione in Sicilia), senza bruciature e scatti e stimmi. Nell’approdo di filari autunnali, nel giallo opaco e nei tramonti lunghi che sventagliano tutte le sfumature del viola e dell’arancio, muoveva i suoi passi. Il cammino rallentato che aspettava gli squarci di borea nell’acquitrino operoso che aveva abbracciato le abitudini del consumo, le sue trasformazioni silenziose, le comunità laboriose, i prodotti pestilenziali. Nel silenzio si aggiravano gli spettri. Silènsio sincér fecondo di spettri.
«Presto saremo dimenticati» (T. Bernhard, Sotto il ferro della luna) e continueremo a non sapere nulla del declino. Continuavamo a fingere che fosse lontano, che non incombesse sulle nostre vite la potenza di non essere. L’umidore terragno dell’autunno, quella pasta di fango e marcescenza nella contorsione spasmodica di larve e parassiti, profumava di contrizione. La colpa che avremmo espiato germogliava dalla nostra capacità di sentire il mondo, le stagioni, ecc., di non sopportare la grandezza di essere un sistema, di esserne difetto e motore, semplicemente e sempre la sua rovina incipiente.


Nota:

1 Questi versi sono debitori ai Frammenti di un oratorio per il centenario del terremoto di Messina di Jolanda Insana.