Diario – Autunno: 24) Di tritume aggrondato
L’Autunno chiude i battenti ai cieli
di stelle affoscate e tritume aggrondato
sbalza e sente il disgusto
«ancor oggi, ogni notte»¹
per le nozze tenebrose di vita e morte.
Dalla terra profonda, ogni notte, echeggia la presenza di un dio. Niente di apollineo ma la paura del vuoto di stanze illuminate viste dalla distanza della casa-capsula, con schianto d’inferriate e scantu d’abominio e rapina.
Ecco la stagione «vegetaliforme» (A. M. Ripellino, Notizie dal diluvio) e iridescente, di querce che sovrastano messi un tempo feraci, di un mondo retrocesso al tempo dei contagi, di distanze virali, di abissi mortiferi.
Ecco le confraternite biancoitaliche a ciurme diradare e recludersi, a guardare alieni dalle torri schermate gli imbavagliati, le torme intorbidate in nuove miserie ammucchiate, scarti e deiezioni di immisurabili consumazioni.
Ecco l’occhio del ciclone, la calma nella distruzione, per osservare l’impatto del male, i luoghi della sglaciazione. Quando un tempo borea pesantemente armava i candidi ghiacci prima che squarci rigassero la foresta e la terra prima arata fosse poi spogliata di ogni biosistema.
Ecco il deserto freddo disteso in una bellezza spietata, annuncio di un decreto infrenabile echeggiante nei versi estremi del nibbio. Ultima enfasi del suono che sfuma «sulle rive del Nulla» (A. M. Ripellino, Lo splendido violino verde), sulla decadenza di città ridotte a spettri, smangiate da paludi e brughiere.
Crescono le acque sotto i tuoni d’Autunno, sotto un clima violento, e l’accensione improvvisa che rovina i colori, le forze nuove di nuovi dei fatali.
Nota:
¹ A. M. Ripellino, Praga magica.