Diario – Inverno: 40) Nuovo mondo

Zeng Fanzhi, A good fellow of the rivers & lakes no. 4 (2001)
Sonata prima (from Sonate concertate in stil moderno per sonar, libro secondo) · Dorothee Oberlinger · Dario Castello
Flauto Veneziano

Diario – Inverno: 40) Nuovo mondo

Con le mani non libere stanotte
dormiremo in altre sfere di mare.
In loro scende pende oscilla l’aria,
tra botti e muri inclina le stagioni.
Voi, naufraghi, considerate il ghiaccio
e in stelle tufferete il desiderio.

Forse è un’ultima luce il desiderio
che nuovi dei scandagliando la notte
scopriranno sotto crepe di ghiaccio.
La terra è vostra, correte altro mare
naufraghi carezzati da stagioni
inedite, diverse come l’aria

che respirate. Sempre nuova è l’aria
se a commuovere dentro è il desiderio
inestinto del fuori. Le stagioni
si alternano mutando giorno e notte
anche se l’onda ormai stinta di mare
si dilata da macerie di ghiaccio.

Quando la stanca materia nel ghiaccio
al risveglio cambierà ancora l’aria
sciogliendo il cuore nel cuore del mare
venefico, nascerà il desiderio
e un vento nuovo nel cielo la notte
ravviverà le mutate stagioni.

Così l’uomo si adatta alle stagioni,
come un respiro profondo sul ghiaccio
che avvolgendo il mattino nella notte
trasforma di anno in anno terra e aria.
Il suo passaggio è puro desiderio,
i suoi passi una scintilla di mare.

Come gocce in sospensione sul mare
sono già i nostri giorni e le stagioni
saranno nel futuro il desiderio
di nuove albe, nel cuore di ghiaccio
della terra, fin quando fiato e aria
si scioglieranno nell’eterna notte.

Intanto questa notte è desiderio
d’aria e respiro, protesta del ghiaccio
alle stagioni in cerca d’altro mare.

Diario – Inverno: 39) Il viaggio – La fine

Zeng Fanzhi, Landscape (2005)
Fantasia Nr. 10: III. Moderato · Dorothee Oberlinger · Georg Philipp Telemann
Telemann: Fantasien für Flöte Solo

Diario – Inverno: 39) Il viaggio – La fine

Coda nell’occhio, soglia bianca
dormono le parole
mosso dalle maree il flusso.

L’anti-storia adesso bussa
dal naufragio tra le bolle
di cosa umana che sbianca.

Nun sacciu chiddu chi fazzu!
Tra le ombre e il volo folle
è tardi tra notti che smussano

la luce per sempre lussata
della fine, nelle zolle
di fotoni e ossa sciancati.

Visite allo zoo/8: Gianluca D’Andrea

Oggi su LE PAROLE E LE COSE² Massimo Gezzi mi fa alcune domande su insegnamento e poesia, insegnamento della poesia con tutte le difficoltà (e la bellezza) che comporta.


a cura di Massimo Gezzi

[Ottava apparizione per “Visite allo zoo”, la rubrica a cura di Massimo Gezzi costituita da una serie di interviste a insegnanti-scrittori e scrittrici sulla difficoltà (ma anche sulla bellezza) di insegnare la poesia e la letteratura a scuola oggi, sulla relazione tra il mestiere di scrittore e quello di insegnante e sul senso di questa professione. Dopo Fabio Pusterla, Francesco TarghettaMarco Balzano, Marilena RendaGian Mario Villalta, Paolo Febbraro e Tommaso Di Dio, oggi risponde Gianluca D’Andrea].

1) Per prima cosa, per contestualizzare quanto stiamo per leggere, che contratto hai, quanto e dove insegni?

Ho un contratto a tempo indeterminato dal 2014, dopo l’iter, per la mia generazione tristemente convenzionale, del precariato, durato 10 anni in giro per la penisola (nello specifico Sicilia e Lombardia, con una tappa intermedia a Firenze). Ho sempre lavorato alle scuole medie alternando Lettere e Sostegno. Adesso insegno stabilmente Lettere in una scuola media a Treviglio in provincia di Bergamo.

2) Ho intitolato un contributo apparso sull’«Ulisse» Una visita allo zoo. L’idea nasceva da una riflessione sui programmi e sulla pratica didattica tipica del liceo ticinese (quello in cui insegno), ma forse, per buona parte, anche di quello italiano: a scuola trattiamo prevalentemente poesia e autori che scrivono in versi, mentre la società contemporanea e il pubblico dei lettori italiani seguono e leggono – se li leggono – quasi esclusivamente scrittori in prosa (soprattutto romanzieri). Come mi capita talvolta di dire ai ragazzi e alle ragazze, i poeti somigliano sempre di più ad animali in via di estinzione o esotici relegati in uno zoo (la scuola, l’aula) e affidati a dei custodi (gli insegnanti). Senza questo recinto istituzionale, la poesia tutta – anche quella altissima: poniamo Dante, Leopardi, Montale – avrebbe ben poche chances di essere letta dalle nuove generazioni. Sei d’accordo con questa diagnosi? Anche a te, qualche volta, è sembrato di lavorare in un zoo?

Inizio dalla fine: l’immagine dello zoo per me è “limitante”, fa pensare a gabbie, recinti, zone di clausura. Vero, esiste la questione dell’obbligo, della burocrazia, delle programmazioni, eppure ho sempre percepito la scuola come un passaggio, un attraversamento. Mantenendo una certa aderenza con la tua metafora, allora penserei a un safari, in cui ognuno di noi, senza troppe distinzioni tra alunni e docenti, può accumulare istantanee e provare a elaborare un percorso di crescita. Io, poi, parto da esperienze diverse rispetto alla maggior parte degli autori che hanno già risposto a queste domande (solo Marilena Renda, ha avuto esperienze simili durante gli anni di precariato). Insegnando alle medie, la poesia non ha un ruolo preponderante come nelle programmazioni liceali, anche se in prima con l’Epica e in seconda e terza con i primi approcci alla Letteratura, chiaramente affrontiamo la questione. La dominante con i ragazzini dai 10-11 ai 13-14 anni che si avvicinano alla poesia dopo le esperienze per lo più mnemoniche delle filastrocche elementari, è quella emozionale e questa, per quanto mi riguarda, è una fortuna. In prima media, siamo ancora abbastanza liberi dai pregiudizi sul genere, quindi è relativamente facile impostare il lavoro sulla poesia partendo dalle sensazioni prodotte dal testo nudo e crudo e solo dopo arrivare anche agli aspetti tecnici e alla storia dell’autore che l’ha composto. Quando parlo di emozione, parto da ciò che vedo, le reazioni dei ragazzi, che vivono l’esperienza come un movimento che li porta verso l’esterno, un’alterità inesplorata che la prosa non riesce a suscitare, perché, a detta loro, li “immedesima” nella storia, in qualcosa che riconoscono. In poche parole, la poesia li disorienta e li sorprende (solo due generi che affrontiamo in Antologia hanno questa capacità estraniante e “tensiva”: l’horror e la fantascienza). Chiaramente è una constatazione di massima, è ovvio, infatti, che non tutti possono avere la stessa attenzione o sensibilità, per motivi che esulano la didattica e spesso sono  dettati da disagio sociale, psicologico, ecc. La maggior parte del mio precariato l’ho vissuto in scuole di “frontiera”, in periferie urbane dissestate, al sud e al nord del paese senza distinzione, probabilmente ho imparato in questi ambienti la grande necessità di relazione e trasmissione che condiziona ogni linguaggio, poesia compresa.

Forse ho un po’ travisato il senso della tua domanda, credo però che la custodia cui ti riferisci non sia sufficiente, non salvaguardiamo semplicemente una tradizione ma la rimettiamo in circolo, provando a indirizzarne il flusso. Mi sembra necessario correre questo rischio.

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