
Olivier de Sagazan (peint 15-24 – Fonte: Olivier de Sagazan)
di Gianluca D’Andrea
Gli anni, gli uomini e i popoli
Vanno via per sempre,
Come acqua corrente.
Nello specchio flessibile della natura
Le stelle: rete, i pesci: noi,
Gli dei: fantasmi e tenebra.
(Velimir Chlebnikov, 47 poesie facili e una difficile, 2009, p. 33)
Come l’immagine il reale e, quindi, l’oggetto umano?
Sì, anche l’essere uomo, ma è ovvio, è sottoposto al mutamento sotto l’azione del mondo, il quale è quella relazione indistinta con il prodotto delle azioni di chi ne è parte. Ma «noi, / Gli dei: fantasmi e tenebra» abitiamo e siamo abitati, non siamo l’appartenenza e, probabilmente, è proprio questo a riprodurci come estranei: immagine del mondo. Sembra questo «il dono naturale per cui a qualcuno gli uomini e tutte le cose talvolta appaiono come puri fantasmi o immagini di sogno» di cui parla Nietzsche (La nascita della tragedia, 2003, p. 53), il dono della “fantasmizzazione”, della fantasia, cioè la scomparsa.
L’uomo scompare e prova a definirsi costantemente in cicli e tentativi di nuovi orientamenti, per ora la trasformazione riguarda la proiezione su nuovi supporti, una fuga nell’ansia di non essere accolti, che preme e si tramuta in puro “passaggio”. Ecco che l’oggetto “uomo”, non “soggetto”, non sembrerebbe più sottomesso se non all’illusione di sentirsi libero attraverso l’utilizzo di auto-supporti: la tecnologia attuale, cioè, crea protesi più complesse, un’avanguardia di rappresentazioni altre che provano a cancellare la certezza di non essere e, invece, non fanno altro che riconfermare il passaggio “illusorio” ad altri modi di essere.
Quel pensiero
[…]
destinato a dileguarsi
di fronte ai neri corpi
dell’albore prediurno
si inerpica, discende,
gioca liberamente
coi fantasmi più lucenti…
(Mario Luzi, Dottrina dell’estremo principiante, 2004, p. 180)