“Lo specchio” di Andrej Tarkovskij – Tutto è davanti a me e tutto è ancora possibile

Antonio Riccardi: una poesia da “Tormenti della cattività” (Garzanti, 2018) – Nuove Postille ai testi

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Antonio Riccardi (Foto: Dino Ignani)

di Gianluca D’Andrea

Antonio Riccardi: una poesia da Tormenti della cattività (2018)

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Tutti essendo fanciulli, abbiamo potuto tener dietro coll’allevare
rane allo sviluppo delle membra a spese della coda.
Quante volte abbiamo osservato i girini mutarsi in rane
e abbiamo visto la coda ridursi
in misura che le zampe s’allungavano?

E noi Monetina restando sull’orlo
della stessa campagna di allora
perderemo con discrezione la coda
o il senso della coda restando ancora cosa?


Postilla:

Toni sapienziali, come sempre nell’opera di Riccardi, e l’incognita del futuro che incrocia la necessità del ricordo.
Il testo, in apertura, presenta l’osservazione di un naturalista “sulla classe degli animali anfibi” che caratterizza l’intera serie all’interno della raccolta. Nella finzione del racconto è messo in dubbio il procedimento induttivo e la plausibilità complessiva di ogni legge universale. Il «regno intermedio», reso manifesto da esseri di transito (dall’acqua alla terraferma), le rane “allegoriche” di cui disquisisce il naturalista, è il tempo, il nostro “tempo dimezzato”, in piena metamorfosi. Ma come leggere la trasformazione che arriva se non come possibilità dentro un reticolato di incognite?
Le interrogazioni all’interno del componimento hanno funzione argomentativa, riducendo a incertezza entimematica le premesse “naturalistiche”. «Restando sull’orlo», il tempo “raddoppia” e la riflessione su futuro e passato sfalda il presente, la sua presunta “eternità”. Il linguaggio della poesia, allora, ha il compito (la possibilità, dicevamo) di “verificare” – e vivificare? – la “cosa” inerte che rischia di diventare il mondo. Nell’«orlo» tra cosa e animale, o forse sarebbe meglio dire tra linguaggio ed esistente, si dipana, come sempre, la “nuova” affabulazione che è la nostra vita.

Pericoresi laica o dell’altro mondo

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Anlagd Översvämning by Erik Johansson

Il punto basilare della generazione e della trasformazione del nostro mondo da “mondi” a “mondo” – il focus della mondanità – risiede nello stabilire una connessione generazionale che ricondurrebbe a una visione comunitaria.
La storia ci insegna che questo è possibile in situazioni di necessità estrema, che riattivano il sentir-si. Di padre in figlio si può trasmettere solo salvezza, non benessere. Il benessere già acquisito porta a una sicurezza neutra, insensibile, ridondante. La “stranezza” che conduce dai “mondi” al “mondo” è l’apertura di una crisi, una crepa nella bolla/capsula metaforica (ma non solo) della società turbocapitalistica.
L’ambiente, il circostante relazionale (si consideri in questa direzione la pericoresi cristiana per la quale si rimanda a Giovanni Damasceno, La fede ortodossa, Città Nuova, Roma, 1998) è il luogo separato dell’oggettivazione o, detto altrimenti, la miniera dove l’uomo occidentale (l’uomo della caduta) ha per secoli attinto il materiale che ha modellato la sua costante trasformazione. La “trascendenza” ha assunto valenza nella ri-produzione dell’oggetto tecnico e del suo soggetto, l’uomo della caduta appunto. Ma l’ambiente, tramutato in oggetto dal soggetto che ne ha subito l’azione nella storia, ritorna attuale nella sua inedita inospitalità.
L’assenza di relazione, è ovvio, distrugge i luoghi d’incontro. L’accoglienza reciproca nel luogo è la relazione stessa che non distingue l’ambiente per renderlo oggetto ostile e sfruttabile ad infinitum.
Che poi nel concetto di “mondo” sia radicata l’invasività dell’altro, ci riconduce alla dialettica classica che vede in esso il carcere dell’individuo tendente alla fuoriuscita e all’affermazione del proprio mondo, il che ci riporta alla frammentazione dei mondi attuale. Così si dimentica la necessità di ricostituire il rapporto con l’ambiente, in maniera inedita il nuovo altro, da cui il corpo dell’individuo si scopre separato. Ma è proprio la divisione nel corpo del circostante a necessitare che si mostri una nuova generazione (coinvolgendo la macro-comunità globalizzata, la massa).
Il corpo della trasformazione sarebbe l’eredità trasmissibile in termini generazionali (per quanto possano mutare rapidamente i modi di emissione e generativi) per il quale, però, sembra indispensabile il confronto, ancora una volta, con la volontà.