Gottfried Benn: una poesia da “Poesie Statiche” (Einaudi, 1981) – Postille ai testi

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Gottfried Benn

di Gianluca D’Andrea

Gottfried Benn: una poesia da Poesie Statiche (1981)

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Ein später Blick

Du, überflügelnd deine Gründe,
den ganzen Strom im Zug zurück,
den Wurzelquell, den Lauf, die Münde
als Bild im späten Späherblick.

Da ist nichts jäh, da ist nichts lange,
all eins, ob steinern, ob belebt,
es ist die Krümmung einer Schlange,
von der sich eine Zeichnung hebt:

ein Großlicht tags, dahinter Sterne,
ein Thron aus Gold, ein Volk in Mühn,
und dann ein Land, im Aufgang, ferne,
in dem die Gärten schweigend blühn.

Ein später Blick – nichts jäh, nichts lange,
all eins, ob dämmernd, ob erregt,
es ist die Krümmung einer Schlange,
die sich zu fremdem Raub bewegt.

Erkenntnis – dir, doch nichts zu künden
und nichts zu schließen, nichts zu sein –
du, flügelnd über deinen Gründen,
und einer zieht dich dann hinein.

*

Un tardo sguardo

Tu, che sorvoli i tuoi mondi,
l’intero fiume in un tratto risali,
la sorgente, il corso, la foce
una forma nell’occhio tardo che guarda.

Non c’è nulla di rapido o lento,
tutto è uguale, sia vivo o di pietra,
è il contorcimento di un serpente
su cui si disegna un’immagine:

di giorno una gran luce, poi le stelle,
un trono d’oro, un popolo in pena,
e poi, lontano, una terra in ascesa
i cui giardini fioriscono in silenzio.

Un tardo sguardo – nulla è rapido o lento,
tutto è uguale, sia inerte o irrequieto,
è il contorcimento di un serpente
che si muove verso una rapina.

Tu – hai la conoscenza, ma nulla da annunciare
e nulla da concludere e da essere nulla –
tu voli al di sopra dei tuoi mondi
ed uno poi ti ci trascina dentro.

(Traduzione di Giuliano Baioni)


Postilla:

L’ultima ascesa novecentesca è uno sguardo ritardato sul reale. La dimensione paesaggistica un fragile “naturalismo” che non prevede uno sbocco, ma l’arresto della linearità nella percezione.
Siamo dentro il vicolo cieco che non “annuncia”, quindi, se non la scomparsa di un mondo. Come? proprio attraverso la dissuasione percettiva dai fenomeni. Il loro senso è riattivabile nel grande limite del nulla, l’incoscienza: «Tu – hai la conoscenza, ma nulla da annunciare / e nulla da concludere e da essere nulla». Essere “al di sopra dei mondi” non indica una gerarchia suprema o un ordine, né, tantomeno, un ancoraggio. La dissoluzione – o la caduta – sembra dipendere dalla casualità senza scopo e il senso da un giro sempre “uguale”: «contorcimento di un serpente / su cui si disegna un’immagine». Occorrerebbe osservare dentro il quadro inedito e saper cogliere la diversità nella ripetizione – inversione del “tutto uguale”: «sia vivo o di pietra» il diverso è l’uguaglianza tra ciò che è vivo e la pietra, cioè l’inerte.
Questa è da sempre “l’ultima” possibilità per la poesia, il suo eterno “ritardo”.

Collage Invernale – Annientare il contatto

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di Gianluca D’Andrea

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Foto tratte da: Elias Canetti, Massa e potere, Adelphi, 2009

Collage Invernale – Non moriremo mai! :(

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di Gianluca D’Andrea

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Foto tratte da: Vladimir Jankélévitch, La morte, Einaudi, 2009

IL CASO: LA FABBRICA DI CIOCCOLATO

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M&M’s®

di Gianluca D’Andrea

Il caso: La bellezza di stare da soli – LA FABBRICA DI CIOCCOLATO

Il caso che bimbi lavorino per i capricci di altri bimbi, tutti inconsapevoli covano odio per il diverso. Il caso che qualcuno decida non a caso di sostenere un mercato alimentare apparentemente superfluo eppure, per caso, necessario per il mercato globale. Il caso che non conosciamo il luogo in cui ci troviamo e cosa lo sostenga, per caso la verità emerge e scompare tra documenti, cavilli, scartoffie. Per caso il dolore appare ma dura poco, per caso eccoti il cioccolatino che te lo fa passare.


Aleteia


LA FABBRICA DI CIOCCOLATO

Le sette fabbricucce sorelline
si prendono cura della golosità
dei nostri figli. Ringrazierò
ogni notte – nelle mie preghiere
c’è spazio solo per loro – le palline
e le faccine colorate che
ricoprono arachidi e cacao,
barrette di leoni accattivanti,
colate di caramello e cioccolato nella gola.
Tra i sette “nomi” capitali
«con sette gole caninamente latra»
la gola stessa, sui nostri bambini
ben nutriti – guai non fosse così!
Come un fiume di melassa, il cioccolato
scorre su un pianeta diviso
in due pianeti.
Da una parte Marte, dall’altra
Costa d’Avorio, foreste pluviali
e savane percorse in moto
da trafficanti sorridenti: persone
che rapiscono persone per persone
che offrono ai figli di altre persone
il lavoro di persone rapite
e intanto altre persone ancora arricchiscono
da generazioni intere famiglie
delle stesse persone. Sette maschere
ingarbugliano la matassa dell’identità
«palida ne la faccia, e tanto scema
che da l’ossa la pelle s’informava»
e che scompare sotto sferzate
che ne dilaniano i connotati.
Chi sono i figli di questi figli
sventurati nascosti e poi accesi
dagli schermi? Di schiavitù
in schiavitù un bel cammino numerico,
perché sette è il numero perfetto di ogni cosa,
la precisione della conoscenza e della violenza.

Gianluca D’Andrea


NOTA

Il 16 febbraio 2016 sul sito d’informazione cattolica “Aleteia”, appare la notizia che sette tra le più influenti multinazionali del cioccolato sfruttano il lavoro minorile per la raccolta del cacao nelle piantagioni della Costa d’Avorio. La risposta del “Gruppo Nestlé Italia”, sotto forma di commento al post di riferimento, rimette in discussione la totale veridicità dell’articolo. Comunque stiano veramente le cose, la schiavitù minorile esiste ed è questo che il testo intende ribadire, ma non solo.

Il verso 11 richiama, deformandolo, il v. 14 del Canto VI dell’Inferno, così come i versi 28-29 riportano, stavolta invariati ma decontestualizzati, i vv. 23-24 di Purgatorio, XXIII.

Nel testo si gioca col nome “Mars” – Marte, la divinità ma soprattutto il pianeta e nome di una delle multinazionali del cioccolato dei cui prodotti si parla in alcuni punti del componimento.

Collage Invernale – Nessun inizio, nessuna fine

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di Gianluca D’Andrea

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Foto tratta da: Nāgārjuna, Lo sterminio degli errori, Rizzoli, 1992

Collage Invernale – Invocare il diverso

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di Gianluca D’Andrea

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Foto tratta da: Soren Kierkegaard, Diapsalmata (da Aut-Aut), BIT, 1996

Collage Invernale – Il terrore del materiale metafisico

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di Gianluca D’Andrea

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Foto tratte da: Meister Eckart, Sermoni tedeschi, Adelphi, 2007

Collage Invernale – La favola della vita

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di Gianluca D’Andrea

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Foto tratta da: Carl Gustav Jung, Karl Kerènyi, Paul Radin, Il briccone divino, SE, 2006

Giorgio Caproni: una poesia da “Il Conte di Kevenhüller” (Garzanti, 1986) – Postille ai testi

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Giorgio Caproni (Foto di Dino Ignani)

di Gianluca D’Andrea

Giorgio Caproni: una poesia da Il Conte di Kevenhüller (1986)

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PARATA

…verso i monti invernali…
(Adriano Guerrini)

Sfilano nella tramontana
della storia.

———————-Quasi
– interminabili e eguali –
in fila indiana.

—————————-Sono
«i trapassati».

—————————Coloro
– in terra come nella memoria –
che per esser vissuti
non sono mai stati.

Sfilano quasi piegati
in due.

————–Nel soffio
del tempo, anch’io piegato
li avvicino.

———————Io,
che non sono mai stato.

Ne fisso uno.

——————————-Mi fissa.

Nel bianco del suo volto vuoto
non mi vede.

—————————Lo fisso
ancora (lui trasparente e quasi
di vetro), e il mio sguardo
– un ferro – mi si ritorce
contro.

—————-Nel vuoto
del suo volto, afferro
me assente.

———————-Inesistente.

(O il perfetto contrario.)

Non ho, nel sillabario
della mente, poteri
per dargli anima.

——————————–Neri
– o persi – son tutti
i miei inerti pensieri.


Postilla:

Quando una tradizione letteraria rischia fino in fondo la sua stessa produttività, sull’orlo della scomparsa, s’intuisce che è ancora possibile scorgere il mutamento come un sintomo. Grazie a questa tradizione, la poesia italiana è viva e lancia il suo sguardo su questi tempi apparentemente illeggibili.
In Caproni, l’ultimo soprattutto, la scomparsa non è più orlo, perché il confine è stato trapassato in direzione dell’assorbimento dell’ombra, nel ribaltamento dell’essere nel suo “perfetto contrario”, nel compimento-commistione con l’inerte. Procedimenti chiarificatori – la musica franta e zigzagante dei versi “spezzati”, i dubbi sulla parola “inessenziale”, l’allontanamento del soggetto dal mondo – decidono il “modo” nuovo di percepire la relazione, laddove il soggetto “distrutto” può ricomparire a patto di accettare l’inerte, a comunicare con la morte “interminabile e uguale”. Finisce un mondo e sfuma nel gelo tramontano. Proprio quando si giunge al massimo della resa, «Coloro/ – in terra come nella memoria -/ che per esser vissuti/ non sono mai stati», “Io” che non è mai stato, è plausibile si scopra nella sua stessa assenza, decentrato, scisso ma ancora agente. Anche solo nel riflesso «trasparente e quasi/ di vetro» dell’altro “inesistente”, il soggetto può “afferrarsi” e “afferrare” la propria assenza. La Bestia estinta si riconosce nella sua “perdizione” ed è pronta al salto metamorfico, a un inguardabile – perché ancora invisibile – cammino.

Collage Invernale – Senza tempo

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di Gianluca D’Andrea

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Foto tratte da: Emil Cioran, Storia e utopia, Adelphi, 2004