
Federico Italiano
Su L’Estroverso Federico Italiano per la rubrica Dall’inizio. Di seguito un estratto.
L’auto-commento è genere proclive all’inciampo, spesso imbarazzante, per la sua natura egotistica, a volte indisponente. Uno scrittore, inoltre, rimane tale anche nella glossa alla propria creazione – e anche di quella dovrà rispondere in futuro, esteticamente, politicamente, umanamente. Cui bono? Verrebbe da chiedersi… Eppure, c’è qualcosa che d’istinto reputiamo utile nel parlare dei nostri testi, qualcosa più simile a un viatico che a un’analisi, più racconto che spiegazione, più indizio che giudizio. Mi limiterò qui a introdurre alcune poesie tratte da L’invasione dei granchi giganti, un libro scritto tra il 2004 e il 2009, pubblicato presso Marietti nel 2010, abbastanza datato, dunque, perché ne possa parlare con un certo distacco – ma ancora sufficientemente prossimo da nutrire nei suoi confronti un senso quasi fisico di responsabilità.
—–Tempo fa, un poeta mi chiese se i granchi de L’invasione dei granchi giganti appartenessero a una specie particolare, oppure discendessero da un’idea di granchio, dalla figura archetipica di un decapode. A prescindere ora dalle pericolose illusioni della referenzialità, un granchio preciso l’avevo sì in mente: il Paralithodes camtschaticus(TILESIUS 1815), ossia il Granchio gigante, detto anche il Re Granchio della Kamčatka. Era il 2005. Me ne stavo comodo e già sonnacchioso sul divano di casa, a Monaco di Baviera, quando dallo scatolone nero della tivù emerse il carapace arancio-porpora di un granchio immenso. Una voce lenta, delicatamente rauca, involontaria macchina del sonno, raccontava di giganteschi granchi rossi, provenienti dallo stretto di Bering, che stavano mettendo seriamente a repentaglio la pesca al largo delle coste nordorientali della Norvegia. Spiegava che erano i pronipoti di granchi che i sovietici avevano trapiantato nella Baia di Murmansk anni addietro, per sfruttare al meglio il commercio della loro “carne acidula”. Tra plumbee inquadrature su mari gelidi e lunghi primi piani sui volti induriti dal sale di pescatori norvegesi, mi addormentai nel giro di pochi minuti, ma il giorno seguente avevo già metà della poesia in testa prima di colazione.