
Enrico Testa
di Gianluca D’Andrea
Enrico Testa: una poesia da Cairn (2018)

Cairn
altrove li chiamano Steinmänner, uomini di pietra.
Da queste parti invece, un po’ maldestramente, ometti.
Sono le piramidali montagnole di sassi
che sull’altopiano invaso dalla nebbia
amichevolmente indicano la traccia:
quella da seguire senza cadere nei crepacci
o scivolare giù in ghiaioni ignoti e improvvisi.
In tempi remoti, monumenti:
sepolture o santuari di pietra lavica o calcare
eretti, sotto le male nuvole
e i corvi in pattuglia ritornanti,
in forma di pegno o rispetto per i morti
o forse (ambigue le sragionevoli ragioni
dei viventi) per impedir loro di svegliarsi.
Ora però ci dicono, in tanto affannarsi,
qual è il sentiero irriconoscibile.
Segnavia e segnavita.
Talvolta, tra fossati asciutti
dove abitano neri millepiedi
e qualche lucertola passa sul mezzogiorno,
vi crescono attorno cespugli di rovi pungenti:
more mature e amare.
Assaggiale. Sanno di sangue.
Postilla:
Cairn è il tentativo di orientarsi dentro un mondo di scomparse. In primo luogo a emergere è la sensazione di pericolo che l’andamento discorsivo e un dettato sobrio mascherano di “normalità”. L’atmosfera sfiora l’ironia e, infatti, l’aggettivazione («le male nuvole», «le sragionevoli ragioni», «il sentiero irriconoscibile») estremamente esposta sottende un certo moralismo, per fortuna stemperato dalla “serietà” tematica e, ancor più, da una sonorità (vedi alcuni giochi allitterativi anche abbinati per “contrasto”, come nel quasi ossimoro «more mature e amare») che riesce a costruire coesione ritmica e tonale in funzione di una vera e propria agnizione. Il “cairn”, il mucchio di pietre tombali ma anche traccia nei tragitti montani («segnavia e segnavita»), è il segnale allarmante (per traslato, ovviamente, è la stessa parola) che assume, come sempre nella parabola poetica di Enrico Testa, funzione etica. Questa parola, quindi, mai pacificata, agonistica, è sì un reperto a rischio di estinzione, ma che necessita di un costante ritorno alla luce. Nella sua capacità di produrre frutti che «sanno di sangue», vitali ed esiziali allo stesso tempo, la poesia, sembra dirci Testa, va “assaggiata” proprio per il portato etico del suo messaggio, vero perché mette in campo tutte le ambivalenze dell’esistenza, rifiutandone le potenzialità uniformanti.
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