
Delfini in una foto del 1939
di Gianluca D’Andrea
Antonio Delfini: una poesia da Dopo la fine del mondo (2013)
Ancora non ci credo
Ancora non ci credo, è un’ombra
la realtà che travolse la famiglia il nome il ricordo.
La realtà non esiste – non esiste il borghese
è passato un tempo più lungo di un mese.
Io non sono un poeta – non voglio star solo.
E la realtà – la velata menzognera realtà – è sola con me.
Roma, 11 novembre 1959.
Postilla:
Il modo dell’inesistenza è un tributo alle capacità di resistenza del mondo. Se tutto sta per finire è perché già – da sempre – «la realtà non esiste». È il gioco ironico del tempo senza tempo attraverso riferimenti banali («è passato un tempo più lungo di un mese») a rinforzare la relazione che si finge distante, di una distanza alla seconda potenza, e annuncia nella disillusione una speranza: «… la realtà […] è sola con me». I modi di Delfini giocano a nascondere il vero dilemma della parola che tenta di ristabilire un contatto col reale proiettando su quest’ultimo l’ombra del segno. In questo scherzo ambivalente il sintomo proiettivo (l’ombra/parola) s’istalla sul reale “travolgendo” i segnali dell’appartenenza («la famiglia il nome il ricordo», l’identità “borghese”) e “stravolgendo, così, la percezione del reale, annullandolo nella sua inesistenza. Al termine di questo lavoro “decostruttivo” è necessario che l’identità si ritrovi nella sua scomparsa (la “nuova identità” è nella solitudine che si accompagna al mondo, nell’immersione in esso, nell’indistinzione tra i due termini). La fase costruttiva della relazione è nella confusione dei ruoli, per questo il mondo continua a esistere nella sua inesistenza.