4 poesie da Waldszenen su Officina Poesia Nuovi Argomenti

Edoardo Tresoldi, Simbiosi 

Waldszenen (scene della foresta)

da Gianluca D’Andrea | Mag 19, 2023

Quattro poesie di Gianluca D’Andrea dall’ultima plaquette de’ “I Cervi Volanti”, a cura di Giorgiomaria Cornelio e Giuditta Chairaluce, che ha realizzato anche le partiture grafiche. 

( Entrata )

Il mondo? Che grande attrattore,
che spazio! Un supertempo, un luogo
con pochi domini ma forti.

La nuova geografia è il fattore
pulsante, guizzante, l’affogo
che disconnette i nuovi porti.

Il mondo è un gran persecutore
di nuovi clienti, il bel lago
di account, le prosciugate coste.

( Fiori solitari )

Lo stile adattivo è squisito,
nel regno slipstream delle piante
cos’è veramente reale?

Vedo fiori soli e infiniti,
è un mindfuck film, un elefante,
una scena vibrazionale.

Sono ecosistemi squisiti
i ricettori delle piante,
veri cervelli artificiali.

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5 poesie da Waldszenen su Le parole e le cose

di Gianluca D’Andrea

[E’ uscito in questi giorni per le Edizioni Volatili Waldszenen (scene della foresta) di Gianluca D’Andrea, nella collana “I cervi Volanti” curata da Giorgiomaria Cornelio e Giuditta Chiaraluce. Ne presentiamo cinque testi]

Waldszenen (Scene della foresta)

Entrata

Il mondo? Che grande attrattore,

che spazio! Un supertempo, un luogo

con pochi domini ma forti.

La nuova geografia è il fattore

pulsante, guizzante, l’affogo

che disconnette i nuovi porti.

Il mondo è un gran persecutore

di nuovi clienti, il bel lago

di account, le prosciugate coste.

*

Cacciatore in agguato

La forma d’onda si è acquattata

In Opere Totalizzanti,

sul campionamento domotico

che incrementa a zetta e aspetta

che il mondo ritracci l’ambiente,

rintracci la mente robotica,

tesa al portale, a scattare

e divorare ogni frammento

prestazionale, megadatico.

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Incontri di poesia a Messina

Venerdì 22 luglio 2022 alla libreria Gilda dei Narratori di Messina letture di Francesco Balsamo, Pietro Cagni, Gianluca D’Andrea, Giampaolo De Pietro, Gianluca Furnari, Pietro Russo.

Atlante sonoro della poesia mondiale – Gianluca D’Andrea legge La ‘namoranza – disïosa di Giacomo da Lentini

Per ascoltare il testo qui

THE ENDORSER – GIANLUCA D’ANDREA (Giuseppe Nibali su Nella spirale)

Tenere tra le mani il nuovo testo di Gianluca D’Andrea, questo Nella Spirale (stagioni di una catastrofe), edito da Industria e Letteratura nel settembre del 2021 significa, per chi come me conosce e stima la produzione dell’autore, entrare a piedi uniti in un nuovo orizzonte, in una poetica capace di mettere insieme gli stilemi maggiormente utilizzati da D’Andrea davanti al baratro di un tempo dominato dall’ombra della pandemia.
È infatti la pandemia da covid e soprattutto la quarantena ad aver dato il la alla costruzione di questo bel testo, una costruzione, una volta di più, che è un assemblaggio, quasi un collage di pensieri e riflessioni altre.
Non siamo lontani, per chi se lo stesse chiedendo, dalle atmosfere di Forme del tempo o dalla componente “nervosa” di Transito all’ombra. Dal primo questo testo eredita la vocazione di quaderno, segnalando come l’annotazione compulsiva, la ricerca e il collage costituiscano ormai per l’autore una forma solida. Dal secondo invece ecco venire certi guizzi dell’incedere poematico, ora chiuso ora aperto, a seconda dei mutamenti d’animo.

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Nella spirale ospite di “carta bianca” per ChiassoLetteraria – Festival internazionale di letteratura (con Fabio Pusterla, Marco Ferri e Franca Mancinelli – 15/05/2022)

Daniela Pericone su Nella spirale per Laboratori Poesia

Nella spirale (Stagioni di una catastrofe), Gianluca D’Andrea (Industria & Letteratura, 2021).

Innovazione linguistica e fisica, pensiero filosofico e geometria, oltranza di visione e biologia sono solo alcuni dei paradigmi che guidano la scrittura di Gianluca D’Andrea nel suo ultimo libro, Nella spirale (Stagioni di una catastrofe), edito da Industria & Letteratura nel 2021, nella collana Poetica curata da Niccolò Scaffai e Gabriel Del Sarto, con la postfazione di Fabio Pusterla. La contaminazione delle discipline e dei linguaggi è anche nella scelta di collegare il testo alle arti visive, dall’illustrazione di Francesco Balsamo in copertina, che fa tutt’uno con la spirale del titolo, ai disegni di Vito Bonito all’interno del libro, in una sorta di contrappunto simbolico-grafico. Nella spirale è un libro proteiforme, lucidamente magmatico, che coniuga senza reticenze le esplorazioni critiche e poetiche dell’autore, le esperienze del presente e gli esiti storico-evolutivi della conoscenza. Sfumati i criteri di classificazione dei generi letterari, il testo muta forma di continuo, ora prevale la prosa, che si fa speculazione filosofica, auscultazione di opere altrui, narrato visionario, cronaca di uno spazio-tempo preciso eppure indefinito, ora emerge la poesia nella misura della tradizione (dalla Scuola siciliana a Dante), rinnovata nel ritmo e nei contenuti, e fitta di neologismi o inserti in dialetto siciliano (il messinese delle origini dell’autore). La tensione metamorfica coincide con l’attitudine al movimento, che è il leitmotiv di questo come dei libri precedenti di D’Andrea (basti ricordare Transito all’ombra, Marcos y Marcos, 2016). Il porsi sempre “in cammino” è carattere imprescindibile del poeta e dell’uomo, da non intendersi come il vagabondare ozioso del flâneur, ma come postura etica e gnoseologica per interpretare la realtà: “In cammino è la visione del mondo, guardare nelle sue trasformazioni, camminare scalzi per non offendere i fermenti, mettersi da parte, contemplarlo”. L’itinerario non è mai lineare, segue piuttosto un andamento a spirale, un vortice di percezioni e visioni da cui registrare i segni di una catastrofe (altro termine chiave del titolo), quasi una preconizzazione della fine di un’era.

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I cordoni della poesia – Gianni Montieri su ”Nella spirale” per minima&moralia

C’è un ragionamento profondo e complesso all’origine del libro più recente di Gianluca D’Andrea: Nella spirale (Industria&Letteratura, 2021). Un pensiero strutturato, un groviglio formatosi dai sentimenti che sono andati a poggiarsi sulla ricerca di senso. Un libro che genera molte domande e che – come D’Andrea sa – non può offrire risposte, ma riesce ad aiutarci a sostare dentro questo tempo incerto, multiforme. Stagioni di una catastrofe recita il sottotitolo e non vuole dirci solo delle stagioni temporali che si susseguono lungo gli anni. Ci dice, soprattutto, che la catastrofe c’è, è avvenuta, si manifesta ogni giorno, noi possiamo resistere al suo interno, in sua compagnia, trovando nuovi significati alle nostre azioni, modificando la percezione di oggetto, mischiando la sua alla nostra fragilità. La spirale con i suoi significati scientifici, matematici, filosofici, ci interroga mentre ci avvolge e più avanti ci dispiega, ci rilascia in un ambiente già cambiato, dentro uno stato di cose che si è spostato. Perché tutto si sposta. Il libro è retto da quaranta testi, tra prose e versi tradizionali, uno che può aiutarci ad attraversarlo meglio è questo:

«L’adattamento è sempre il sorgere del sole in cammino. Mi appello ai piedi, al continuo movimento che non conosce compromessi, semplicemente s’immerge passo dopo passo.

Eppure questi sono giorni di protesta e sdegno, perché la bestialità della vita sociale, coatta, del collettivo che non è comune, porta a discriminare e circoscrivere frammenti di mondo: separati, bloccati nel loro habitus che non riesce a trasformarsi in habitat, non abbatte i suoi confini.

«Camminavamo dal sorger del sole, stavamo diventando neri».
(A. Carson, Antropologia dell’acqua)

Diventare. Movimento che trasforma e adegua i passi a un terreno sempre nuovo. Non è solo passeggiare, andare a una meta. L’unica meta, sempre provvisoria, è nera e brucia l’essere nella necessità, essere del tutto nero è la fine di un cammino che non può arrestarsi – ormai il mio corpo, non solo le mani, si muove anche mentre scrivo, mentre sono sdraiato e perduto per sempre nel tempo, nel mio sbiancamento che non posso non vivere come una colpa.

Il bianco non ha importanza, è estinto, conta solo il raggiungimento del nero, la superficie terrea che attraverso:

«ed ebbi la sensazione che questa fosse l’epoca eroica, sebbene nessuno di noi ne sia consapevole, essendo l’eroe generalmente il più semplice e il più oscuro degli uomini».
(H. D. Thoreau, Camminare)».

Questo testo – come molti altri del libro – apre il confronto continuo con altri autori, qui Carson e Thoreau, chiamati in causa circa il camminare, il movimento. Non si tratta di passeggiare, scrive D’Andrea ma di tendere a una meta, provvisoria però. Il corpo non può smettere di muoversi dopo essere stato fermo, chiuso in uno spazio, costretto alla staticità. Si muove il corpo e nasce una nuova ricerca di senso. Nuovo è il terreno da calpestare, nuova è la persona che lo calpesta. Il primo blocco racconta l’interno, parla di frammenti circoscritti, di confini, certo. Il secondo blocco apre, ma lo fa senza valicare il confine, ma rimodulandolo, attraversandolo, spostandolo. La spirale ci avvolge, la spirale ci dispiega in campo aperto, e oggi è la pianura lombarda, dove D’Andrea vive, ma cinque minuti dopo è il cosmo, è la speranza, è guardarsi intorno, trovare qualcuno. Il raggiungimento del nero, di noi stessi, dell’altro.

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Gianluca D’Andrea | Nella spirale su Inverso – Giornale di poesia a cura di Daniele Orso

Gianluca D’Andrea | Nella spirale

di Daniele Orso
da Nella spirale (Stagioni di una catastrofe) (Industria&Letteratura, 2021)


Nella spirale della catastrofe odierna

“In che modo parlare la lingua dei carnefici può contribuire a porre fine alla tortura? È dubbio se anche solo possa aumentare la consapevolezza della tortura”: scrivevo qualche settimana fa su un noto social ormai passato di moda. “Lo straniamento è il punto. E in ogni caso è meglio lo straniamento che la mimesi”: rispondeva quello giustamente. Certo, molto meglio ribaltare lo specchio contro Calibano, servire il pasto nudo ai commensali, piuttosto che fingere o, peggio ancora, credere che siamo stati invitati a una deliziosa cena di gala. L’orchestrina che suona è quella del Titanic, è la tristezza degli organetti della Galizia mentre mezza Europa bruciava e gli stessi spettatori tra il pubblico deliziato scomparivano nel Maelstrom. Ma il punto è: cos’è mimesi e cos’è straniamento? Ripetere la propagandistica modulare costituita di slogan e refrain che ad ogni ripetizione perdono via via ancor di più il minimo spolverio di senso di cui debolmente erano rivestiti, è straniamento? Costituisce un’arma efficace ad arginare il non-sense del Falso (Falso che sostituisce fittiziamente e surrettiziamente il Reale, fake di un core reale ormai non più verificabile né rintracciabile)? O non cede e resiste chi invece ha già ceduto, chi ripropone gusci di forme vuote a ricordare un tempo in cui quelle forme si accompagnavano a un pieno di vita? Nessuno dopo Auschwitz potrebbe leggere un sonetto senza percepire la parodia delle forme. Soltanto il filologo ormai può leggere il Foscolo come lo stesso Foscolo leggeva se stesso. Noi no, non più. Tutte le forme neo-metriche o neo-metricistiche non sono altro che la riproposizione di cadaveri nella sfiducia che la salma sia mai stata viva. Ma non sono mere esibizioni macabre da snuff movie di serie B. Più forte resisterà chi si è già lasciato andare. La sfiducia nella parola (poetica) come conditio sine qua non per poter scrivere poesia nei tempi attuali. Abbiamo fallito, non possiamo continuare, continueremo. Sono pensieri che fatalmente si pone chiunque prenda la penna o ponga le dita sopra una tastiera nell’atto di scrivere. Chiunque lo faccia con un certo grado di consapevolezza. Avanguardia e tradizione. Dove la “e” è sia disgiuntiva che congiuntiva: davvero la sperimentazione entra in un rapporto dialettico (di un dialettica negativa, per la quale la sintesi è sempre rimandata da una negazione via via sempre più definitoria: ciò che non siamo, ciò che non vogliamo, ahimè, ancora) con la tradizione, non per riproporre cascami di materia morta bensì per custodire ciò che ha valore, in una ricerca perenne e sempre rimessa in discussione. Ogni punto è equidistante dal suo centro, ma il meccanismo non gira a vuoto, entra in un momento ben preciso per poi proseguire lungo una traiettoria non prevista: una spirale, insomma. Nella spirale, appunto, si intitola l’ultimo libro di Gianluca D’Andrea, pubblicato per Industria & Letteratura, il progetto di Gabriel Del Sarto e Niccolò Scaffai che, a circa tre anni dall’esordio nel panorama editoriale italiano ha già incassato un premio Viareggio con Quanti di Flavio Santi e, quel che più conta, il rispetto della comunità delle Lettere. D’Andrea ha già costruito una propria fisionomia con le raccolte Distanze (lulu.com, 2007), Chiusure (Manni, 2008), [Ecosistemi] (L’arcolaio, 2013), Transito all’ombra(Marcos y Marcos, 2016), Forme del tempo (Arcipelago Itaca, 2019). In Postille (tempi, luoghi e modi del contatto)(L’arcolaio, 2017), ha dato prova delle sue capacità critiche. Nella spirale si trova D’Andrea e con lui noi tutti, incastrati in una prolungata crisi economica, sanitaria, culturale ed etica; e dalla spirale D’Andrea scrive. Scrive senza speranza di trovare un’ancora, un porto sicuro ma proprio per questa di-sperazione, la parola esce rinnovata, veritiera seppure labile, fragile come l’ultima parola del condannato a morte.

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Viaggio dentro il cuore dell’apocalisse: Nella spirale di Gianluca D’Andrea (Pietro Russo per Limina)

Nick Fewings – Unsplash

La recensione di Pietro Russo per Limina


La scrittura di Gianluca D’Andrea ha l’ossessione del movimento. Da Transito all’ombra (Marcos Y Marcos, 2016) a Forme del tempo (Arcipelago Itaca, 2019) è come se essa rifiutasse, una volta tratta dal magma delle infinite possibilità, di cristallizzarsi definitivamente sopra un supporto, analogico o digitale che sia, e quindi volesse continuare ad avvilupparsi in un percorso polimorfo, multiplo nonché multi sequenziale, spiraliforme più che logico-lineare. Nella spirale (Stagioni di una catastrofe), edito dalla nuova Industria&Letteratura (2021), porta alle estreme conseguenze questa tensione che non è solo espressiva, ma ha un fondamento epistemologico e cognitivo piuttosto evidente. L’immagine-concetto del movimento che curva intorno a un centro definito chiama in causa l’esperienza storica del soggetto e il suo rappresentare/interpretare il tempo come un vortice presente di passato-futuro. Già Vincenzo Consolo, conterraneo del messinese D’Andrea, proponeva questa visione della storia nel suo Sorriso dell’ignoto marinaio (Mondadori): 

«Ma ora noi leggiamo questa chiocciola per doveroso compito, con amarezza e insieme con speranza, nel senso di interpretare questi segni loquenti sopra il muro d’antica pena e quindi di riurto: conoscere com’è la storia che vorticando dal profondo viene; immaginare anche quella che si farà nell’avvenire.»

Se il senso della storia poggia su questa premessa, è chiaro allora che la profezia della fine, dell’apocalisse – la «catastrofe» evocata dal sottotitolo – si innesta sulla scansione ciclica del tempo stagionale oltre che sulla misura del passaggio umano. La prospettiva della catastrofe è necessariamente antropica, riguarda cioè la relazione tra essere umano e mondo, con il primo termine che si trova al centro di questo discorso apocalittico e decentrato allo stesso tempo: «In cammino è la visione del mondo, guardare nelle sue trasformazioni, camminare scalzi per non offendere i fermenti, mettersi da parte, contemplarlo». L’ideale quindi, per il poeta, sarebbe una fusione panica che azzeri ogni confine, un climax impossibile da raggiungere: «Tra uomo e mondo nessuna separazione, allora, ma un unico corpo immerso nello stesso clima da cui dipende la nuova configurazione della terra».

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