“Paura degli occhi” di Carmen Gallo (L’arcolaio, Forlì 2014)

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Cave di Apricena (foto di Sergio Campione © 2011)

Paura degli occhi – Nota di Gianluca D’Andrea

paura-degli-occhi-copertine-pauradegliocchiLibro che mette in scena la tensione relazionale e le ambivalenze di un soggetto che ne ricerca il senso. Carmen Gallo, alla sua prima pubblicazione organica (avevamo avuto modo di apprezzarne la scrittura qui), riesce a riprodurre la dimensione di uno smarrimento effettivo, per cui il linguaggio è in cerca di un nuovo ordine, spazio ri-creante e sofferente che non si accomoda a un contesto di realtà dato per acquisito. Il mondo è ancora davanti, non raggiunto e, per questo, non facilmente definibile. A conferma di quanto espresso occorre leggere la teoria di infiniti iussivi e, infine, desiderativi, che costellano l’intera raccolta, che agiscono per confermare il movimento oscillatorio, mai pacificato, che ricostruisce la possibilità di un dialogo con l’alterità.
I testi che proponiamo sono composti in un linguaggio plastico, tendente alla propagazione di uno spazio “agonistico”, un’impalcatura teatrale che ripete la necessità dell’incontro. L’evento è sotto proiezione, la luce flebile di quell’occhio – richiamato in esergo nella citazione da Paul Celan – che aspira all’alterità ma si ritrae per non invaderne il campo, perché il soggetto abbia la “giusta” visuale e la parola non esondi in visione. Per quanto la precarietà del nostro sguardo sul mondo si chiuda nell’umile necessità di un richiamo alla nostra stessa presenza, restiamo innominabili, a margine del testo compare la lieve traccia di una «terra non chiamata / invocazione senza nome / distanza da percorrere sottovoce». La nostra cecità è il nostro vero approdo.

Testi

Come avere paura degli occhi
come sapere che tutte le bocche
professeranno il falso
e per prima la tua
dirà cose che non vuole
vedrà cose che non sa
ma il vero più del falso
resta nelle parole che non riconosco
perché non hanno la tua forma
la calce bianca dei tuoi sensi
deformati per l’occasione
parole annerite, scartavetrate
cercano rifugio tra le mie
ma non trovano
che una pace fatta di spilli
di mura che non tengono
di soldati che non parlano la tua lingua

*

Ancora e di nuovo
trattenere a stento la pelle
tra pareti che cadono dall’alto
poi le linee scure, trame che non ricordo
avevano maglie troppo larghe
per ricucire le finestre
e giocare a battaglia navale fra le nuvole
perdevi sempre tu –
come ora, nella casa in disparte
dove non sono più giochi
i nostri finti suicidi
ci siamo finiti davvero
tra le luci di un altro

*

Camminare sull’acqua
senza mai guardare
i passi falsi, le foglie usate
l’orizzonte appena steso
salutare la folla che acclama
e distinguere tra due rive identiche
vene vertebre e vocali
sembrano tutte al loro posto
come prima, prima di cosa
prima che le separazioni
fossero festa nazionale
prima che fosse di moda
lasciare spazi tra i punti
e passeggiarci sopra
senza i tuoi occhi

*

Non restare buchi neri
fondi fedeli al vuoto
affilare la lama che separa
i lati bianchi della strada
nel paese che nasconde
il cielo nelle cave
essere terra non chiamata
invocazione senza nome
distanza da percorrere sottovoce

*

Prima degli occhi, al posto degli occhi
le palpebre al muro
e la sfilata delle ciglia divelte
poi i capelli da incendiare all’alba
dei nostri migliori propositi
contarsi in segreto le dita
incollando i palmi
alle regioni dei vivi
prima degli occhi, al posto degli occhi
dividere le mani
in vagoni da espatriare

*

Non basteranno gli anni
gli involucri di vuoto
in cui affondano le braccia
per ogni parola
che resta in gola e che si fa
alone umido intorno agli occhi
e sguardo cavo
nel petto ancora umano

*

Abitarsi nelle mani e addormentarsi
a poche bocche di distanza
al riparo della corteccia
della sua forma improvvisata
c’è un vento che ci ascolta
arrivare da lontano
da dove è profondo e non si tocca
da dove si resta vivi a guardare
a largo, ancora più a largo ci teniamo
la terra si fa grido fermo, e non ci vede
noi soli la sentiamo
nelle sere che non riempiamo
nelle facce che risalgono il fondo
crespo di ogni superficie
la luce ci sorprenderà estranei
da ciò che non abbiamo scelto
nella perdita degli occhi
tutto sembrerà inseguirci
ma noi impareremo a vivere
a essere senza di noi
polmoni pieni d’aria
sotto il vetro dell’acqua

*

E mai più cercare ragione del torto
perché il torto lo portiamo al collo
come una pietra levigata nella stretta
un silenzio da osservare da vicino
allentare la presa non è ancora
respirare ma entra l’aria lo senti
nelle spalle che accolgono il colpo
nelle braccia liberate in dispersione
come se gli occhi fossero finalmente
da un’altra parte come se la fronte
non stesse lì a dividere il soffitto dalla gola
e la caduta è rivendicazione silenziosa
di ogni cosa al di qua della visione
una domanda che scende dagli occhi
e non si riempie e non si svuota

*

Nella gravità delle cose
che non cadono
sostenere lo sguardo
del disastro

*

Come svegliarsi nella luce intera


carmen-gallo-oggi

Carmen Gallo

Carmen Gallo è nata a Napoli, il 6 gennaio 1983. Attualmente vive a Napoli, dove lavora come assegnista di ricerca in letteratura inglese. È stata due volte finalista al premio Mazzacurati-Russo per la poesia (2009-2010; 2011-2012), e alcuni testi sono stati pubblicati su blog (Poetarum Silva, Poesia di Luigia Sorrentino, Carteggi Letterari) e antologie (Registro di Poesia #3, 2010 e Registro di Poesia #5, 2012, Edizioni D’If, Napoli). Con Tommaso Di Dio, Alessandra Frison, e Domenico Ingenito cura gli incontri di letture di giovani poeti “Fuochi sull’acqua”.
Paura degli occhi è la sua prima raccolta.

 

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