
di Gianluca D’Andrea
[E’ uscito in questi giorni per Industria & letteratura il nuovo libro di Gianluca D’Andrea, Nella spirale. Ne pubblichiamo alcuni testi, seguiti dalla postfazione di Fabio Pusterla che accompagna il volume]
da Primavera
- IL CUORE ESTRANEO
La lingua si è fermata, siamo sull’orlo: «Quando tutto ormai vacilla ed è minacciato, dove più niente va da sé, né vale alcun diritto, dove si è espropriati di tutto, si tratta di capovolgere l’Esodo, il “cammino del fuori”, nel suo contrario: ribaltare l’Esilio e sfidarlo. È questo il potere dell’ ”intimità”»[1].
Ecco che il margine può diventare “azione” se sblocca la relazione, se si “approssimano” i corpi. Se “un” mondo del Fuori si schiude dalla «minima intesa interiore»[2].
Un’azione, si diceva, che deve sbloccare la relazione e che, allo stesso tempo, non può svelarne il mistero, il velo dell’intimità, parola velata:
«Una gran quantità di segreti della mia vita si trova inviluppata in questo nuovo futuro, e mi restano qui da assolvere dei compiti che si possono assolvere solo con l’azione».
(F. Nietzsche, Epistolario)
Nuovo inizio, “nuovo futuro”, è il rischio del margine, un cammino che si apre e chiude tra parvenza e reale – immagine e mondo – il mondo dell’immagine («fin dal principio la parvenza ha finito quasi sempre per diventare la sostanza, e come sostanza agisce!»[3]) o il mondo che si immagina, infatti «non dimentichiamo neppure questo: che basta creare nuovi nomi e valutazioni e verosimiglianze per creare, col tempo, nuove “cose”»[4]. E qui è tutto il rischio della parola che riattiva il suo cammino, nella scelta da compiere s’incaglia il mistero dell’ambivalenza dell’essere, la sua “intimità”, appunto.
È un cuore estraneo quello dell’uomo, «ci si deve rassegnare […] al fatto che non esiste una “natura” dell’uomo priva di ambiguità, dato che […] egli non è di per sé né buono né cattivo»[5], ed è questa “estraneità” l’unico valore: l’altro accolto nell’intimo, la capacità di accogliere l’estraneo/estremo, appunto, è la ribellione, non tanto all’ambivalenza dell’esistente e del segno che prova a indicarlo, quanto alla mancata compenetrazione tra uomo e mondo. Ecco, il segno può essere lo strumento per manifestare la presenza dell’estraneità fondante, il mistero che sempre riappare quando ci approssimiamo al mondo, riconoscendoci dentro il suo cuore estraneo, contemplandone le forme sempre rinnovate, le sempre nuove visioni.
«Che ci dovessimo diventare estranei è una legge sopra di noi: proprio per questo dobbiamo anche divenire più degni di noi!»
(F. Nietzsche, La gaia scienza)
10. APPELLO AI PIEDI
L’adattamento è sempre il sorgere del sole in cammino. Mi appello ai piedi, al continuo movimento che non conosce compromessi, semplicemente s’immerge passo dopo passo.
Eppure questi sono giorni di protesta e sdegno, perché la bestialità della vita sociale, coatta, del collettivo che non è comune, porta a discriminare e circoscrivere frammenti di mondo: separati, bloccati nel loro habitus che non riesce a trasformarsi in habitat, non abbatte i suoi confini.
«Camminavamo dal sorger del sole, stavamo diventando neri».
(A. Carson, Antropologia dell’acqua)
Diventare. Movimento che trasforma e adegua i passi a un terreno sempre nuovo. Non è solo passeggiare, andare a una meta. L’unica meta, sempre provvisoria, è nera e brucia l’essere nella necessità, essere del tutto nero è la fine di un cammino che non può arrestarsi – ormai il mio corpo, non solo le mani, si muove anche mentre scrivo, mentre sono sdraiato e perduto per sempre nel tempo, nel mio sbiancamento che non posso non vivere come una colpa.
Il bianco non ha importanza, è estinto, conta solo il raggiungimento del nero, la superficie terrea che attraverso:
«ed ebbi la sensazione che questa fosse l’epoca eroica, sebbene nessuno di noi ne sia consapevole, essendo l’eroe generalmente il più semplice e il più oscuro degli uomini».
(H. D. Thoreau, Camminare)
Note
[1] F. Jullien, Sull’intimità.
[2] Ibid.
[3] F. Nietzsche, La gaia scienza.
[4] Ibid.
[5] H. Jonas, Il principio responsabilità.