Diario – Autunno: 29) Che corre attraverso il delirio

Claude Monet, Autunno sulla senna ad Argenteuil (1873)
Trio in A minor, Op. 37/5: II. Largo · Dorothee Oberlinger · Joseph Bodin de Boismotier
French Baroque

Diario – Autunno: 29) Che corre attraverso il delirio

Bruciano queste ore notturne, le ultime di un disagio stagionale che comprime i ricordi. La memoria sciampia il futuro, ombra dopo ombra, nella solitudine delle ore notturne. Dalla solitudine si affranca il ricordo di un vortice di foglie, si riproduce un’aggregazione di semi. Dallo scheletro della collina, come un gesto sbagliato, in simbiosi fredda col passato, una richiesta di contatto, come una preghiera che supera la prudenza e l’estinzione bianca. E lo scintillio tra gli alberi spogli è il nulla del senso in una neve impossibile. Nell’autunno circolare, che è inverno incipiente e orlo eroso del cammino, s’insinuano l’inerzia bianca e il cuore duro della lingua. In particelle grossolane, l’acqua levita quasi astratta appuzzando le pareti del mondo. Una specie nuova di volgarità blu comprime la pelle e spoglia le forme in un sentiero cinerino da cui si slarga, sontuoso, il calore o, forse, un delirio.

«Dopo la collina, la gioia ariosa delle ore pellegrine illuminava di luce meridiana la città già invasa di antenne e cavi e panni stesi e voci familiari che rovinavano verso l’ignoto. Nell’età del primo amore cadevo nel tuo sguardo e il dolore mi indirizzava agli oggetti di fuga, al piacere della resa. Mi trascinavo solo, arroccandomi, ma un giorno provai a uscire con i miei occhiali neri e la faccia scomposta, la camicia larga del dissenso, sicuro soltanto della mia scomparsa e dell’incontinenza implacabile dell’adolescenza. Tra i marosi degli umori, la pelle esposta come un uccello in trappola, camminavo nascosto nel tendaggio dei vivi e i morti emergevano increspando la superficie del respiro. Nelle assenze sepolcrali e nei futuri-fantasma, avanzavo tra le macerie di un luogo già scomparso, un acquitrino di materia urbana che aveva cancellato la collina, spalancando la periferia e la scuola che divorava tutti i giorni. Respiravo il richiamo del sesso che ingrommava il desiderio di un corpo naufragato. Procedevo per raggiungere lo spettro capovolto e infitto che fissava una persona irripetibile, un affare col corpo del vento, una raffica che partiva da lontano per fare cadere la maschera che imborsava l’insegna blasonata della stirpe, perché una propaggine filiale esorcizzava la paura della fine, creando la coscienza dell’inappartenenza».

Calore morto riverberante sull’acqua, mentre l’aria sconvolta come un destino freddo, si prepara all’autunno invernale.

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