Diario – Autunno: 27) Il veleno inevitabile

David Quinn, Grotto (2010)
Chamber Concerto in G major, RV 101: III. Allegro · Sonatori de la Gioiosa Marca · Dorothee Oberlinger

Diario – Autunno: 27) Il veleno inevitabile

All’alba avremo timore del sole, sole d’autunno nella luminescenza spaesata dei detriti. Nello splendore di questo giorno che sorge sui confini selvaggi, il terrore di un’onesta trasformazione della natura, con incubi antichi e uomini inghiottiti dalla terra cannibale.
I rami sempre più nudi sono il linguaggio del crollo e della costruzione, telaio, ossatura. Il veleno inevitabile si trascina nei canali e raggiunge i pantani di questa periferia melmosa; come il desiderio di papaverina o le orme di animali sui semi, così posso tornare alla lissa che mi smancia e sciobba, a nuovi occhi nel giallo nebuloso dei vapori. La landa alienata è la notizia di un oscuro scantu e la visione del dopo che fugge invisibile per troppa evidenza. Immagino che questa stagione di semi-morte e allucinazione, nell’odore di concime e cavolo, si sveli lentamente, plaga dopo plaga, foglia dopo foglia, e appaia l’infanzia trapassata del sud, poi il nord, l’occidente e il caldo: un caldo nuovo di nuova fame a novembre. Nelle albe agre di parole rapprese non chiovi e tuttu u munnu funni e scattia stu cori in cammino supra i fogghi sicchi. Parole condivise nello strascico di veleno che asfissia i fiorellini e sbudella i ghiacciai, strappa i denti ai monti e ne scava le gole fino al nero e si suca tutto il succo del sole. Nei nervi della terra, nelle terminazioni del circuito amoroso che ci avvolge, resta il passo lento che comprime la distanza e le parole si slargano come una curva: noi è mondo, mondo è noi, nella fredda quiete del dopo.

Ascoltami: sono le cose ai margini
remoti che stanno al cuore del nostro
mondo, e ci staranno sempre, quando
ogni altra cosa sarà andata distrutta,
terra e archeologia delle nostre anime.

(S. Watts, Hölderlin in Alvernia)

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