
Diario – Autunno: 23) E la gran fatica
La nostra casa si regge su mura sempre più fredde. E sotto il suo tetto di polvere dormono esseri investiti dai venti della mezzanotte. La nostra casa pare spegnersi sotto nubi di contagio e la proibizione e la giacenza di un misero autunno. E la gran fatica in questi giorni che obliano la terra, la gran fatica delle parole. Autunno. La stanchezza del rosso e del giallo che bruciano aceri, faggi, castagni e larici tra vette spaventose e viali morti e mille volti e boschi inceneriti e tarsi piumati che annunciano la caccia fatale, rapace. In questo «ammassamento cremoso» (S. D’Arrigo, Horcynus Orca) di carcasse marcescenti e accatastate o sfrattagliate nell’umidore buio, mentre i corpi dormono avvolti nell’aria vaporosa della mezzanotte, ecco grandi ombre squagliarsi sulla superficie delle strade, risalire le pareti di palazzi e cascine, divorare la città-carogna. Ombra-aquila che si abbatte sui boschi neri, sulle tangenziali filiformi notte dopo notte, dalle vette fredde giù nelle paludi, nei focolai d’infezione e odori tristi. Catabasi tra gas e pestilenza, la taiga urbana che emana «fragranza di Persefone» (W. Stevens, Cose d’agosto) e che chiude una volta per tutte l’estate, tappezzando l’asfalto. La luce si fa blu e verde e mastica il senso dell’emisfero, dell’occasione, della fine. E albeggia. Mentre i corpi fluttuano, sono forme luminose rallentate, screen saver del mondo e l’attesa è una fatalità che si muove in cerchio, attivando un percorso capovolto fino allo zenit dell’illusione originaria. Le foglie sverdiscono, la luce si fa blu fino a confondersi con la fine del cielo, è in arrivo una maniera diversa, un approccio imprescrittibile che odora di scomparsa e tristezza, di un mondo che pareva insostituibile, ecc.
È in arrivo il bianco incolore, il neutrale, il rosso:
fumo nel fumo
buio d’animale
porta di sangue
grido siderale
(V. Bonito, La bambina bianca)