Diario – Primavera: 5) Scalare la montagna equivale a rubarne l’identità

Gabriele Münter, Il viale davanti alla montagna (1909)

Concerti Ecclesiastici: Sonata à 4 · Dorothee Oberlinger · Dmitry Sinkovsky · Giovanni Paolo Cima · Ensemble 1700

Diario – Primavera: 5) Scalare la montagna equivale a rubarne l’identità¹

L’estraneità è solo una nuova localizzazione, con tutto il peso che lo spostamento comporta. La divaricazione sempre più estrema tra dimorare e deambulare introduce a una scelta: da una parte, seguendo Sloterdijk, abbiamo «il design spaziale» che «ha a che fare, come l’architettura, con l’aspetto inquietante dell’appartenere […] a un ambiente completamente modellato dall’essere umano» (P. Sloterdijk, L’imperativo estetico – Scritti sull’arte); dall’altra, l’essere umano “in cammino”, che aspira a una solitudine diversa dall’appartenenza. Se gli «impianti d’immersione», sempre Sloterdijk, sono solo «proposte di schiavizzazione per i consumatori di rifrazioni preformate» (Ibid.), questi stessi “ambienti artificiali” rappresentano un rifugio per chi è ancora nel picco del “contagio”: il commercio degli umani. Il “campo del demoniaco” di questi ambienti interni porta all’evocazione, vero e proprio fantasma del moderno, di Baudelaire e del suo Spleen. «Horrible vie! Horrible ville!» il che conduce al desiderio di una solitudine di tenebra che fungerebbe da riscatto alla giornata “cattiva” passata in mezzo agli uomini.
Tra disprezzo e accoglienza interessata si dibatteva l’uomo all’origine del “moderno”, cioè di quell’oggi di cui adesso viviamo il tramonto. Un secolo e mezzo per puntellare il sempre ultimo rifugio, eppure il desiderio di una via di fuga verso un’estraneità compiuta è ancora avvertito. Più del comfort come «gradita sottomissione a un ambiente artificiale» (P. Sloterdijk, cit.), occorrerebbe ricominciare un cammino, fuori dal commercio degli uomini, nella sua prossimità.
A tramontare dovrebbe essere la necessità del rifugio, nell’insorgenza di un cammino che non chiede il suo fine, fuori dalla dimensione alienante e ossessiva del progresso e della vetta, anche se lo dico da una postazione interna, dall’interno della bolla di comfort che è il mio rifugio. Il mondo “inferiore” che coincide con quello che “disprezzo”.


Nota:
¹ Il titolo è una frase tratta dal film L’ignoto spazio profondo di Werner Herzog.

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