LETTURE di Gianluca D’Andrea (42): NESSUNO VEDE PIÙ

sanguineti

Edoardo Sanguineti

di Gianluca D’Andrea

«godere di diventare un rifiuto che nessuno vede più».

(Pierre Zaoui, L’arte di scomparire – Vivere con discrezione, 2015, p. 25)

La questione della scomparsa preme come quella di una presenza pudica nel testo. Scomparsa da ogni potenziale centralismo del soggetto, dalle dinamiche di micro-potere, e illusione di tale potere, insite nelle strategie “social”. Viene da pensare all’illusione rivoluzionaria sottintesa alle avanguardie e alle neoavanguardie: nello specifico, in una bella intervista a cura di Massimo Gezzi di qualche anno fa («A me della poesia m’importa pochissimo». Incontro con Edoardo Sanguineti, in «Atelier», VIII, 32, dicembre 2003, ora anche in M. Gezzi, Tra le pagine e il mondo – Dieci anni di incontri, dialoghi, letture, Italic, Ancona, 2015, p. 50), Edoardo Sanguineti affermava: «occorre essere epicurei e stoici al tempo stesso. Epicurei perché è doveroso godere la vita al massimo possibile; stoici perché di fronte alle difficoltà che si incontrano nell’affermare la propria idea, e che possono incidere indipendentemente da tutto, occorre un atteggiamento coraggioso: me ne frego!», cercando di confermare, in tal modo, una sorta di indipendenza dal proprio sé storico e, si diceva più indietro nella stessa intervista, dalla «fragilità dell’io», attraverso la sua denuncia.
Tutto questo fingere assenza e disinteresse ottiene il risultato opposto che conferma l’io, lo afferma con più decisione proprio quando ne segnala la scomparsa (a questo punto la pseudo-scomparsa).
In uno splendido saggio di Pierre Zaoui del 2013 (tradotto da Alice Guareschi per Il Saggiatore e uscito in Italia nel 2015) si parla della discrezione e della scomparsa nell’epoca (la nostra) dell’immagine e della presenza a tutti i costi e possiamo leggere: «quando non sopportiamo più […] il gran baccano economico, politico, mediatico che inquina il nostro quotidiano, tendiamo a rivolgerci alle morali greche. […] Da un lato, la saggezza epicurea […] dall’altro, troviamo la saggezza stoica. […] Queste due forme di ritiro dallo sguardo dell’altro […] sono, tuttavia, il dritto e il rovescio di una stessa morale, che ha ben poco a vedere con […] la discrezione. […] Sia l’uno sia l’altro si ritirano lontano dallo sguardo altrui pieni di sé. […] Mentre la discrezione è esperienza del godimento paradossale del ritirarsi, del farsi invisibili, dello scomparire momentaneamente per abbandonarsi all’apparizione dell’altro, dello smettere per un attimo di essere se stessi, sia l’epicureismo sia lo stoicismo non promettono che una più elevata e più piena presenza a se stessi. Non sono filosofie della scomparsa di sé, ma dell’apparizione superiore» (P. Zaoui, L’arte della scomparsa – Vivere con discrezione, Il Saggiatore, Milano, 2015, pp. 45-47).
In altre parole, l’assoluta trasparenza invece di manifestare la verità, espone l’individuo nella sua presunta, e direi violenta, superiorità. La diversità non è presa in considerazione, perché non è accettata la marginalità del soggetto, al suo posto è proposto un Narciso già rovesciato nella sua immagine postuma: l’anti-soggetto che espone la sua fragilità come una forza. Come un alibi, questa fragilità agisce nell’estrema volontà di apparizione e produce dinamiche di vittimismo: la storia del progresso nel protagonismo della vittima – o la dittatura del proletariato che si risolve nell’autarchia o in un’autosufficienza presupposta. Ma in un mondo orfano di riferimenti è forse il momento di rilevare la nostra posteriorità nella fine di qualunque autorità, senza fingere un’autorevolezza esposta dalle gabbie della “socialità” virtuale.
L’attivazione di una scomparsa che gratifichi la “vacanza” in funzione dell’accoglienza del mondo, dovrebbe portare a rinunciare alla “trasparenza” ideologica del soggetto, ma non a dimenticare la chiarezza e la lucidità dovuti al racconto della nostra marginalità, per non correre il rischio che il mistero, connaturato alla fuoriuscita da una socialità imposta, non diventi linguaggio per iniziati.
Infine, rivalutando Sanguineti, non abbiamo bisogno che la comunicazione si richiuda in paradigmi estetizzanti, bensì si trasformi in un racconto senza infingimenti o conseguenti protagonismi. Un linguaggio che resti equidistante da ermetismi o avanguardismi di sorta, e che sia consapevole della sua fragilità (e possibile fallacia), nella potenziale scomparsa che fonda lo spazio dell’altro, del sopravveniente.

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