
Martino Baldi
di Gianluca D’Andrea
Martino Baldi: una poesia da Capitoli della commedia (2005)
Scripta volant
Non le parole nude resteranno
ma il labirinto di rughe del tuo volto,
l’arrampicarsi degli occhi e delle mani
sullo specchio del tutto.
I tuoi pensieri non sono voce
ma corpo mio.
E non nella memoria vive qualcosa;
è nei sussulti dei sensi che rinasce
ciò che da sempre non sappiamo e siamo,
l’insegnamento involontario dei sospiri
le cicatrici riaperte a ogni notte.
Il resto è un cimitero di ricordi:
tombe bellissime.
Questo di te resta nell’eco.
Quando dicevi, senza dire, senza saperlo,
col tuo sistema unico di macerare
pagine intere, arricciolare gli angoli,
scegliere il luogo in cui riporre il libro:
«Strappa dalla parola quanto c’è d’umano.
Fanne pane. Di quanto ne rimane,
di quanto tace,
sangue».
Postilla:
La vicenda dell’assenza è riprodotta seguendo schemi classici che portano la parola fuori da se stessa. Rilevata la sua consistenza d’ombra («Non le parole nude resteranno»), la sua incapacità di aderenza a un reale che vive fuori, nel «labirinto di rughe», la parola della poesia perde contatto, si trasforma in «eco».
Un segnale evidente dello “strappo” io/mondo è la ricorrenza discorsiva, la capacità affabulatoria e bassa di un parlato che aspira alla prosa, la necessità di una poesia che tende a far perdere le sue tracce nella presenza fantasmatica di un reale che, però, resta irraggiungibile.
L’aspirazione ad afferrare il mondo, la sua dimensione più fisica e carnale, e la consapevolezza raggiunta che la parola non possa rispondere a questa necessità, conduce al silenzio (Capitoli della commedia è del 2005, da allora Baldi non ha più pubblicato) e alla “caduta” nel “sangue” del reale: «Strappa dalla parola quanto c’è d’umano. / Fanne pane. / Di quanto ne rimane, / di quanto tace, / sangue».