LETTURE di Gianluca D’Andrea (35): MELANCONIA

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Pieter Bruegel il Vecchio, Cacciatori nella neve (1565)

di Gianluca D’Andrea

La sospensione non va ridotta a mero livellamento. L’irriconoscibilità dell’altro dipende dalla mancanza di attrito dovuto all’assenza di presenza. Per non rischiare di sprofondare nell’ombra – nel riflesso e nel “senza mondo” – il soggetto ha bisogno di segnali, segni evidenti, eccessivi, di una comunicazione che riempia la distanza. Purtroppo, ormai, occorre ripartire da un sentimentalismo derivante da un ritorno ingombrante di emotività. Nell’epoca dell’isolamento è già forte l’impulso alla relazione, ma il raggiungimento dell’altro è reso ancora più complicato dal diradarsi della presenza.
Il sentimentalismo spicciolo espresso dalla rapidità della comunicazione, si evidenzia in una simbologia che, nella sua banalità, sta però rendendo più complessa la sua struttura, aggiungendo sfumature derivanti da una gestualità inghiottita dagli schermi. Per non parlare dell’immagine – foto o video che sia – tesa a divenire la sostituzione rappresentativa di un percorso che la verbalizzazione aveva reso possibile. La storia oggi è espressa per immagini da individui che ne parcellizzano il senso, centralizzando nel momento che è avvertito come necessario (e desiderante) barlumi della propria esperienza. Il tutto è ricondotto alla dimensione della traccia, degli indizi che, chissà, un giorno potrebbero essere rielaborati da computatori ancora più raffinati degli attuali, per dare a un eventuale ente del futuro (?) un quadro della vita antropomorfa nel momento che precede la sua scomparsa.
L’apertura di senso può scaturire dall’insignificanza di questi indizi, o forse nella liberazione dal senso che il soggetto impone alla propria esistenza, alla sua necessità di “essere” a tutti i costi in un periodo in cui a essere è solo un insieme di frammenti per immagini.
Non penso sia ripristinabile una relazione “erotica” col mondo così come eravamo (alcuni, ultimi di una generazione) abituati a concepirla fino a qualche decennio fa. Siamo solo in attesa della catastrofe successiva, o meglio del disastro. Dis-astrum, come avviene in Melancholia di Lars von Trier (2011) e come si può leggere nell’analisi che di questo film ci presenta Byung-Chul Han (cfr. Eros in agonia, 2013, pp. 5-17) e a cui questa lettura è dedicata.

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