LETTURE di Gianluca D’Andrea (29): L’ASSENZA PRIGIONIERA

Grande Cretto di Burri

Il Grande Cretto di Burri, particolare (Foto di Valerio Bellone ©)

di Gianluca D’Andrea

«Il suolo, pieno di cicatrici, tagli, vesciche, rimarginato, spento, e tuttavia vivente».

(Valerio Magrelli, Esercizi di tiptologia, 1992, p. 45)

Cosa vibra, però, nella certezza di aver saggiato la nostra uniformità? Trema il terreno della stessa certezza, anzi crolla dopo aver illuso di una perfezione livellante. I segnali sono stati: l’isteria degli anni Ottanta; la noia paranoide negli anni Novanta; il terrore preventivo degli anni Zero. E adesso, anni Dieci, lo strascico spettrale di una caduta che si avverte imminente ma che, già avvenuta, sembra desiderarsi all’infinito. Ma è questo desiderio di caduta il risultato della lotta intransigente di Pasolini? Certo riemerge ostinatamente – con che sforzo! – la necessità di riconsiderare la nostra inappartenenza. Non siamo identità, manchiamo a noi stessi, nonostante le “schermature riflettenti” siamo ancora “suolo”? Ancora sentiamo il peso del dolore, nel taglio, la frustrazione che debba rimarginarsi qualcosa? Sentiamo la nostra diversità (pseudo?) o la rifuggiamo cadendo in un’assenza ancora inaudita?

«Se si volesse definire con una parola ciò che è accaduto, il termine giusto sarebbe “disintegrazione”»

(Czesław Miłosz, La testimonianza della poesia, 2013, p. 111)

ma non è vero che il mondo è finito dopo aver “saggiato la nostra uniformità”, perché anche dopo la fine di “un” mondo (vedi Seconda Guerra Mondiale, ecc.), un altro mondo è pronto a finire. Il punto allora sarebbe la “mondializzazione” (secondo Nancy) costante del sistema. Mettersi davanti il mondo consapevoli di esserci dentro: guardare e sentire – e toccare –, “guardare la cosa vera e nient’altro”, lottando contro il paradosso della nostra uniformità. La speranza degli esseri comuni – che tutti siamo – in Pasolini:

Let’s see the very thing and nothing else.
Let’s see it with the hottest fire of sight.

(Wallace Stevens, Credences of Summer, II, vv. 3-4, in Transport to Summer, 1947)

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