
Una scena dal film “L’invasione degli ultracorpi” di Don Siegel (1956) – Fonte: La villa del bambino urlante
di Gianluca D’Andrea
… Ma come io possiedo la storia,
essa mi possiede; ne sono illuminato:
ma a che serve la luce?
(Pier Paolo Pasolini, Le ceneri di Gramsci, 1954, IV, vv. 151-153)
Ed ecco che il trattino è riassunto in questi versi, cioè una vita ridotta a un segno si sciampia in altri segni, in altri sensi. La “storia” dell’individuo Pasolini è la storia di un possesso da parte della “Storia”. Ma a che serve la stessa storia con tutte le sue indagini apparentemente illuminanti, se non a farci riflettere su quanto resta in ombra.
L’ombra del ‘76
Karen Anne Quinlan, New Jersey, leggera
morte diventi un diritto quando nasco.
Computer e acronimi si riproducono
e cadono sui nuovi nati, come fiocchi
di mela. Chissà, ci fosse stato l’aborto,
in molti non sapremmo del Friuli, Pelosi, Khmer
rossi, neri, tre p di commozione e della
sensazione di peggioramento.
Saremmo desaparecidos comuni,
innocui nel nostro limbo anticipato,
prima della caduta attuale.
Brividi, piombo e Lega Araba, come dire,
vichinghi a Marte, alieni sulla Terra.
E anche la morte è una pena comprensibile,
perché i monelli sono loro, non io,
anche se McEnroe sarà più simpatico di Borg,
un po’ come Mao e il suo anno bisestile.
(Gianluca D’Andrea, Inedito)
Dalla sfilata della storia, dall’increspatura dell’onda che fa l’evento e i “personaggi”, emerge l’uniformità, il livellamento che tanto terrorizzava Pasolini:
«vi sono stati mai degli Eroi?»
(Ugo Foscolo, Frammenti di un romanzo autobiografico)
no, con ogni probabilità, anche perché quegli stessi “eroi” sono stati sempre frutto di una “ri-costruzione”: basta girare l’occhio per captare la decadenza di ogni figura “storica”. Ecco, forse l’impulso eroico, anzi, “martiriale” di Pasolini è dovuto a una tensione, uno spasmo agonistico da “fine del mondo”; da fine di “un” mondo, quello del Soggetto protagonista di se stesso, il non uniforme, il non livellato: «Il dato di partenza era comunque un compatto, intensissimo microcosmo, un famelico, instancabile Narciso – un oblativo, disperato Narciso – destinato ad una concentricità impossibile/necessaria con eventuali e sempre instanti macrocosmi (storici) anch’essi in metamorfosi» (Andrea Zanzotto, Pasolini poeta, in Pasolini – poesie e pagine ritrovate, Lato Side 25, Roma, 1980, p. 205). In poche, decisive parole, Zanzotto riassume bene la tendenza a una “centralizzazione” del Soggetto “spiazzata” costantemente dai mutamenti del tempo. Con Pasolini, in sostanza, accade la fine definitiva dell’individuo che non accetta la sua stessa fine, dopo di lui è l’invasione dell’oggetto, un mondo di ultracorpi. La sua opera/vita ci lascia in eredità la lotta, l’intransigenza, la contraddizione, come campi liberi di sapere, possibilità di conoscenza della “nostra” diversità, il limite e l’errore come percorso “pedagogico” a una maturazione continua, mai definitiva. L’oggi con tutte le sue pseudo-certezze uniformi ci cade addosso incerto e si sgretolano i baluardi dei nostri borghi virtual-individuali.