
Collage Blake Yeats (Elaborazione grafica di Gianluca D’Andrea)
di Gianluca D’Andrea
La sensazione che un “ricordo non possa essere ricordato” è prodotta da un’angoscia. Da un vuoto, quindi, che riesce a colmarsi, anzi finge di colmarsi con l’utilizzo di uno strumento sostitutivo. Nel caso della poesia, le parole sono il mezzo per tentare il riempimento, almeno in parte, laddove il segno ha creato il vuoto della sua inaderenza al concreto. Un’ombra che cerca di articolarsi attraverso simboli nuovi, e che rischia sempre di disancorarsi definitivamente dalle relazioni. L’immaginazione non è nient’altro che l’emersione dovuta allo sforzo tensivo tra pensiero e segno, nella ricerca di un contatto. Così nascono nuovi simboli e si tenta una diversa mitologia. Come Yeats sosteneva parlando di Blake: «egli fu un uomo alla disperata ricerca di una mitologia, e cercò di crearsene una perché non poté trovarla a portata di mano», vicenda accostabile a chiunque si confronti col linguaggio e con la difficoltà del segno di trovare aderenza al contesto.