Intervista su “Transito all’ombra”, Marcos y Marcos, Milano, 2016 (uscita 29 settembre) per Marcello Mento, Gazzetta del Sud – Versione originale
1. Il tuo incontro con la poesia
1. Più che di un incontro con la poesia, parlerei di una necessità di scoperta, in primo luogo di me stesso, quindi del mondo, a partire dall’infanzia. I primi ricordi, in tal senso, riguardano degli esperimenti in versi di mia madre, la sua urgenza di esprimere le proprie sensazioni con quel tipo di scrittura. Non ho iniziato a scrivere le prime poesie a sette anni, come quasi “proverbialmente” accade a molti poeti, ma a quattordici, quando più forte fu la necessità di allontanamento dai modelli genitoriali, e il conseguente disorientamento. Ecco, con ogni probabilità, la mia urgenza di poesia nasce da questa imperfezione di messa a fuoco dei rapporti, da una “assenza” materna e, allo stesso tempo, da un esubero di presenza, in qualche modo parlerei di un “dovere” di scrittura. Ma “the imperfect is our paradise” scrisse Wallace Stevens, e va bene così.
2. Parlami di questa raccolta
2. “Transito all’ombra” è un attraversamento. Mentre scrivevo i testi del libro, tra il 2011 e il 2015, si verificavano insorgenze di ricordi della prima infanzia e cresceva una certa apprensione per il presente. Non ho avuto scelta o non ho saputo riordinare la cronologia del mio vissuto.
Un impasto temporale, evidente nella raccolta, è il risultato della mia inefficienza, della mia incapacità di distinguere e selezionare. Forse per questo, rispetto ai miei precedenti, “Transito” è un libro meno concluso, più aperto, esposto e, chissà, forse più umile. In sintesi, mi soccorrano queste parole di Andrea Zanzotto che dicono meglio di quanto io sia riuscito a esprimere sul mio stesso libro: «Resta ferma, insomma, la convinzione che la poesia debba ostinarsi a costituire il “luogo” di un insediamento autenticamente “umano”, mantenendo vivo il ricordo di un “tempo” proiettato verso il “futuro semplice” – banale forse, ma necessario – della speranza».
3. Hai scritto altre raccolte?
3. Sì, ne accennavo in precedenza. La prima raccolta è del 2004, “Il laboratorio”, anche se considero il mio vero libro d’esordio, un’autoproduzione on-line del 2007, “Distanze”. La stagione che precede “Transito all’ombra” e che, con la sua pubblicazione, può considerarsi terminata, include: “Distanze”, appunto, “Chiusure” pubblicato con Manni nel 2008 ed “[Ecosistemi]” uscito per L’arcolaio nel 2013.
4. Come vedi la poesia in una realtà globalizzata e interessata solo a cose prosaiche?
4. Come sempre, in deficit. Non per niente insieme a un gruppo di poeti messinesi abbiamo prima realizzato una rivista on-line – “Carteggi Letterari” che si occupa principalmente di critica ai testi di poesia, ma che ormai ha allargato il raggio delle pubblicazioni ai più svariati campi della cultura, con collaboratori provenienti dal resto d’Italia e internazionali – e, da marzo 2016, la casa editrice omonima, grazie alla generosità e competenza di Natalia Castaldi e di un comitato di lettura che comprende, oltre il sottoscritto, i poeti Diego Conticello, Francesco Balsamo (che è anche il disegnatore delle opere grafiche che accompagnano i nostri testi), Giampaolo De Pietro e Daniela Pericone. Questo slancio, spero risvegli le coscienze dei messinesi, ma non solo, e le avvicini a un linguaggio, come dicevamo, di difficile accesso.
A prescindere dalle epoche, comunque, è la prassi della poesia, la sua inadeguatezza nel colmare ogni assenza e la consapevolezza di quanto questa stessa assenza sia necessaria, a renderla indispensabile.
La dimensione “liminare” della scrittura in versi è la possibilità di riattivare un senso pure nel più “prosaico” dei mondi, se ho capito le intenzioni della domanda.
Mi sembra quasi superfluo affermare che oggi in poesia non si “canta” un mondo migliore, ma si tenta di migliorare la “lettura” del solito mondo, nella sua banalità. Cioè, seguendo il filosofo francese Jean-Luc Nancy, «il mondo, come tale, [che] ha per definizione la potenza di ridursi a nulla tanto quanto quella di essere infinitamente il proprio senso». Ecco, tra il senso e il niente del senso (la dimensione liminare di cui sopra) si muove la poesia: «In quei piccoli contenitori / dove la vita muore / da quelle piccole gemme / chiuse e umiliate in mano all’uomo / nasceranno le nuove cose», questi versi di Bartolo Cattafi, scritti nel 1972, credo facciano percepire meglio di qualunque spiegazione la necessità della poesia in qualsiasi epoca.