
Antéchrist assis sur le Léviathan. Liber Floridus (Ghent University) 1120
di Gianluca D’Andrea
Carteggio XXXV: Ferita, ritorno, straniamento
Il suo luogo è esterno non solo rispetto alle mura della città, ma anche rispetto al suo territorio, in una terra di nessuno o nel mare».
G. Agamben
Ennesimo ritorno al non-so-mai-dove, più che una casa, abitare è un rifugio, meno di una casa, il luogo che occorre alla bestia per nascondersi nella sua ferita. Infine, amici, ci raggiungono parole troppe volte sentite, la gioia piuttosto indecisa di essere negli stessi luoghi della nascita, che un giorno rifuggiamo, un altro cerchiamo come un’avventura, una missione per salvare nel ricordo i giorni di un altro. Poi riaccade il presente, cioè l’attesa dell’incontro e della fuga, la scomparsa e l’emersione di un evento che sembrava ritardato dalla ferita, dal dolore che blocca le vicende e le raccoglie nell’intimità, negli appigli umani che ognuno crea per regalare agli altri una scarica della propria inefficienza. Che l’amore non sia altro che questa paura di una solitudine cui non si sa rispondere se non lanciando argani, àncore, macchinazioni, parole che trasportino e leghino l’altro a sé. Da qui la necessità di costruire il mostruoso e bellissimo alibi della responsabilità, costruire sul trauma fragile della partenza il viaggio della casa, il ritorno che non sarà mai, se non un’urgenza minima che poi cresce, si fa ossessione. Infine dovere, giustificazione, racconto che nei suoi particolari rende eroica la ferita e spera che nel ricordo sia più accettabile la nostra scomparsa.
(Luglio 2016)
[…] Quale miglior auspicio per “ricomporre” un carteggio – l’ultimo risale a luglio 2016 [qui] e parla ancora di ritorni, case, dimore e può collegarsi a quello che Cecilia Bello Minciacchi […]
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