Emily Dickinson: una poesia da “Tutte le poesie” (Mondadori, 1997) – Postille ai testi

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Emily Dickinson a sedici anni circa (Amherst, The Amherst College Library)

di Gianluca D’Andrea

Emily Dickinson: una poesia da Tutte le poesie (1997)

meridiano dickinson

889

Crisis is a Hair
Toward which the forces creep
Past which forces retrograde
If it come in sleep

To suspend the Breath
Is the most we can
Ignorant is it Life or Death
Nicely balancing.

Let an instant push
Or an Atom press
Or a Circle hesitate
In Circumference

It – may jolt the Hand
That adjusts the Hair
That secures Eternity
From presenting – Here –


889

È la crisi un capello
verso cui si trascinano le forze
quando passa, indietreggiano
se ci coglie nel sonno

trattenere il respiro
è tutto quello che possiamo fare
senza sapere se sia vita o morte
in delicato equilibrio.

La spinta di un istante
la pressione di un atomo
o l’indugio di un circolo
nella circonferenza

e può tremar la mano
che sistema il capello
che impedisce all’eterno
di presentarsi – qui –

(Trad. Silvio Raffo)


Postilla:

Crisi, la divaricazione tra percezione individuale e comprensione “impedita” del mondo – «Eternity». La conclusione o la caduta dell’assoluto immobile e certo nel minimo verso cui le forze si dirigono – «Crisis is a Hair / Toward which forces creep / Past which forces retrograde / If it come in sleep» – nell’impossibilità di comprendere il confine tra sé e altro, tra «vita o morte». Perché è l’equilibrio «delicato» la grazia nella scissione, quella grazia che, pur destabilizzando la percezione, permette la cura del nostro essere minuti, difettosi. Che concede all’essere la sua presenza, per quanto minima, la sua aderenza quasi impercettibile – «La spinta di un istante / la pressione di un atomo» – al quadro del reale, “impedendo” o “proteggendo” (“to secure” è anche nell’accezione difensiva) l’eterno. Ma questa stessa eternità, vista l’ambivalenza del verbo, è comunque «qui», e proprio nella crisi “percettiva” che allontana e unisce ente e mondo, riassorbendoli in un «Here» che, per quanto contingente, non perde la sua connotazione assoluta: un luogo che è anche un “sempre”.

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