
Jorge luís Borges
di Gianluca D’Andrea
Jorge Luis Borges: una poesia da La rosa profonda (2013)
Cosmogonía
Ni tiniebla ni caos. La tiniebla
Requiere ojos que ven, como el sonido
Y el silencio requieren el oído,
Y el espejo, la forma que lo puebla.
Ni el espacio ni el tiempo. Ni siquiera
Una divinidad que premedita
El silencio anterior a la primera
Noche del tiempo, que será infinita.
El gran río de Heráclito el Oscuro
Su irrevocable curso no ha emprendido,
Que del pasado fluye hacia el futuro,
Que del olvido fluye hacia el olvido.
Algo que ya padece. Algo que implora.
Después la historia universal. Ahora.
*
Cosmogonia
Né tenebra né caos. Esige occhi
che vedano, la tenebra; così
suono e silenzio esigono l’udito,
e lo specchio, la forma che lo popola.
Né lo spazio né il tempo. E neppure
una divinità che concepisce
il silenzio anteriore all’iniziale
notte del tempo, che sarà infinita.
Il gran fiume di Eraclito l’Oscuro
non ha intrapreso il corso irrevocabile
che dal passato va verso il futuro,
che dall’oblio va verso l’oblio.
Qualcosa che già soffre. Che già implora.
Dopo, la storia universale. Ora.
(Traduzione di Tommaso Scarano)
Postilla:
«Después la historia universal. Ahora»: cos’è la storia, cos’è l’individuo? tutto è adesso in un’inversione “irrevocabile” del concetto di linearità, la freccia temporale non è più scagliabile tra “oblio e oblio”. Non c’è un verso ma un ritmo costante che elude altri concetti: spazio e tempo (spazio/tempo, spaziotempo?), passato e futuro, perché la “tenebra” avvolge tutto e per questo la “notte del tempo” ha bisogno di altri occhi, il “silenzio” di altre orecchie per cogliere la “nuova” forma che ci popola nel nostro stesso riflesso. La sofferenza del finale e l’intensità del pianto che arriva, sono l’intercessione nel transito dal prima al presente, nella constatazione (o speranza?) che in ogni passaggio finale possa ri-avvertirsi un nuovo inizio. Dopo la scomparsa di vecchi concetti – “la storia universale” – la vera irrevocabilità sembra “consustanziarsi” nel passaggio infinito delle forme, nelle potenzialità di lettura per nuovi occhi e nuove orecchie, dentro l’ombra riflessa in uno specchio. Ombra che sembra perdersi nell’oblio infinito ma che, invece, afferma la sua presenza, un’identità sofferente, scissa nello sforzo d’interpretazione della “notte del tempo”. Perduta la freccia in direzione dell’infinito (ricordiamo en passant l’ossessione di Borges per le spade), l’individuo resta solo e deve prepararsi all’incontro/scontro ravvicinato con il mondo della materia, il mondo senza “rifugio”, incipiente.