
Amelia Rosselli (Foto di Dino Ignani)
di Gianluca D’Andrea
Amelia Rosselli: una poesia da Serie ospedaliera (1969)
Questo giardino che nella mia figurata
mente sembra voler aprire nuovi piccoli
orizzonti alla mia gioia dopo la tempesta
di ieri notte, questo giardino è bianco
un poco e forse verde se lo voglio colorare
ed attende che vi si metta piede, senza
fascino la sua pacificità. Un angolo morto
una vita che scende senza volere il bene
in cantinati pieni di significato ora
che la morte stessa ha annunciato con
i suoi travasi la sua importanza. E nel
travaso un piccolo sogno insiste d’esser
ricordato – io son la pace quasi grida
e tu non ricordi le mie solenni spiagge!
Ma è quieto il giardino – paradiso per scherzo
di fato, non è nulla quello che tu cerchi
fuori di me che sono la rinuncia, m’annuncia
da prima doloroso e poi cauto nel suo
crearsi quel firmamento che cercavo.
Postilla:
Ancora il luogo della ripetizione. Allarmi stilistici, quasi ecolalie. Linguistiche e mnestiche. Il campo della “letterarietà” invaso da evidenze leopardiane («Questo giardino che nella mia figurata/ mente…», «Sempre caro mi fu quest’ermo colle») e montaliane («l’angolo morto»), interna l’orizzonte che si abbevera continuamente di se stesso. È il soggetto a ruotare e avvoltolarsi in cerca di un “oltre”, ancora. Figure etimologiche, “giardino/paradiso”, cioè recinti dai quali, come una specie di espiazione, si desidera il “firmamento”. La gabbia è l’abuso di senso, «Un angolo morto/ una vita che scende senza volere il bene/ in cantinati pieni di significato». Resta un «piccolo sogno», una feritoia da cui immaginare il “ricordo” di una “solennità” estinta. L’ultimo respiro della poesia è nel luogo immaginifico della sua scomparsa, insofferenza in esubero.