
Un ritratto di Arthur Rimbaud by © Jude Boid
di Gianluca D’Andrea
Arthur Rimbaud: una poesia da Opere (1975)
Au Cabaret-Vert
Depuis huit jours, j’avais déchiré mes bottines
Aux cailloux des chemins. J’entrais à Charleroi.
– Au Cabaret-Vert : je demandai des tartines
Du beurre et du jambon qui fût à moitié froid.
Bienheureux, j’allongeai les jambes sous la table
Verte : je contemplai les sujets très naïfs
De la tapisserie. – Et ce fut adorable,
Quand la fille aux tétons énormes, aux yeux vifs,
-Celle-là, ce n’est pas un baiser qui l’épeure ! –
Rieuse, m’apporta des tartines de beurre,
Du jambon tiède, dans un plat colorié,
Du jambon rose et blanc parfumé d’une gousse
D’ail, – et m’emplit la chope immense, avec sa mousse
Que dorait un rayon de soleil arriéré.
*
Al Cabaret-Vert
Da otto giorni avevo straziato i miei stivali
Sulle pietre dei sentieri. Entrai a Charleroi.
– Al Cabaret-Vert: chiesi qualche crostino
Imburrato, e prosciutto purché non proprio freddo.
Beato, distesi le gambe sotto il tavolo
Verde: contemplavo i molto ingenui soggetti
Della tappezzeria. – E fu delizioso, quando
La ragazza dalle tette enormi, l’occhio vispo,
-Questa, non sarà mai stato un bacio a spaventarla! –
Mi porse ridente i crostini imburrati
E il tiepido prosciutto, in un piatto dipinto,
Prosciutto bianco e rosa profumato d’uno spicchio
D’aglio, – e mi riempì il boccale immenso, spumeggiante
D’oro in un raggio di sole ritardato.
(Trad. di Diana Grange Fiori)
Postilla:
Il luogo è un ritorno al desiderio della pienezza. Solo il ricordo, però, il conte di Rimbaud è lo sgorgo psichico di un’immaginazione che si fa iperreale proprio quando la realtà sembra avvicinarsi. La frustrazione di questo desiderio è il disastro di qualunque equilibrio e, in questa che è soprattutto una caduta, la produzione di miracoli misteriosi. Come spiegare l’ultimo verso, quel “soleil arriéré” sconvolgente perché proprio in quel posto, a ritardare la parola, come in ritardo è il raggio del senso, in ritardo il soggetto, e tutto dopo la descrizione di un quadro grottesco, puro nella sua volgarità. Ah! ma le “tétons énormes” quel soggetto non le afferra, le immagina, immagina la disponibilità di una realtà che resta inappropriabile, in ritardo perpetuo appunto, che è ricordo di una possibilità sempre in fuga. Distrutta per sempre l’aderenza, inefficace ogni mimesi, resta la deformazione. Così noi ci fermiamo a un passo dal godimento: dislocati, sfocati rispetto alla casa, senza soddisfazione sensuale (la birra non è bevuta, ah! la colpa dell’infante, troppa straziante dolcezza), quei sensi irrequieti e inevitabilmente stravolti. E, infatti, non è neanche la psiche a intervenire ma una visione, una psichedelia dai colori ossessivi: il verde sempre invasivo in Rimbaud, la tenerezza nell’accostamento “alimentare”, prosciutto tiepido quanto ambiguamente accogliente («à moitié froid») – bianco, rosa – il giallo del burro che sfuma e si trasfigura nel crepuscolo dorato del finale, nel tramonto definitivo, ritorno senza godimento. L’ottuso vicolo cieco di un mondo “ritardato”.