Francis Ponge: una poesia da “Il partito preso delle cose” (Einaudi, 1979) – Postille ai testi

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Francis Ponge

di Gianluca D’Andrea

Francis Ponge: una poesia da Il partito preso delle cose (1979)

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LES ARBRES SE DEFONT À L’INTÉRIEUR D’UNE SPHÈRE DE BROUILLARD

Dans le brouillard qui entoure les arbres, les feuilles leur sont dérobées; qui déjà, décontenancées par une lente oxydation, et mortifiées par le retrait de la sève au profit des fleurs e fruits, depuis les grosses chaleurs d’août tenaient moins à eux.
Dans l’écorce des rigoles verticales se creusent par où l’humidité jusqu’au sol est conduite à se désintéresser des parties vives du tronc.
Les fleurs sont dispersées, le fruits sont déposés. Depuis la plus jeune âge, la résignation de leurs qualités vives e de partie de leur corps est devenue pour les arbres un exercise familier.

*

Gli alberi si disfano all’interno di una sfera di nebbia

Nella nebbia che circonda gli alberi, le foglie sono loro sottratte e queste, sconcertate da una lenta ossidazione, e mortificate dal ritirarsi della linfa a vantaggio di fiori e frutti, fin dalle grandi calure di agosto già erano meno attaccate ad essi.
Nella scorza si scavano canaletti verticali attraverso cui l’umidità del suolo è portata a disinteressarsi alle parti vive del tronco.
I fiori sono dispersi, i frutti vengono deposti. Dalla più tenera età, rassegnare qualità vive e parte dei loro corpi è diventato per gli alberi un esercizio familiare.

(Trad. di Jacqueline Risset)


Postilla:

Lo spostamento parte da uno spunto paesaggistico. L’andamento, più che descrittivo, è immaginifico e tende alla “universalizzazione” del mondo. La dimensione della rinascita, del ricordo, suscita – quasi edenicamente – una nuova freschezza. La sintassi sobria è finzione obiettiva, la tensione del messaggio è, infatti, squilibrata in direzione della ri-creazione. La lingua, in questo caso, vuole fortificare le sue capacità affabulatorie, e ci riesce paradossalmente nello stridore tra osservazione e utilizzo mascherato delle referenze. Il risultato, più che straniante, vivifica il processo e chiarisce l’evidenza della mutazione: dalla «nebbia che circonda gli alberi» ai «fiori e frutti» che si separeranno dagli stessi, si chiude il cerchio di vita e morte. Classicismo esistenzialista, a discapito del tentativo “fenomenologico”, ma che riattiva e dona necessità ai «corpi». La metamorfosi è confidenza col mondo, la sua conoscenza un habitus, «un esercizio familiare».

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