
Antonella Anedda (Foto di Dino Ignani)
di Gianluca D’Andrea
Antonella Anedda: una poesia da Notti di pace occidentale (1999)
Notti di pace occidentale: VII
Cosa rende cimitero il cimitero di una città bombardata.
Quale contrasto tra i vivi e i morti, che vento
e luce di memoria – luce marina – dagli affreschi di Pisa.
Questa non è un’elegia
qui solo un viso si abbassa sulla pietra
reso adulto dal fuoco
una voce di terra eppure senza eco:
«Non ho nessuno tra queste tombe, nessuno
da chiamare per nome, perciò mi chino
sterro una radice, ricordo
che i miei morti dormono
battezzati ed ebrei
resi uguali dal fuoco
in astucci di sassi, di candele».
Postilla:
Il luogo è il «qui», la “nostra” parte di mondo e gli affreschi del Camposanto di Pisa sono un chiaro rimando alla dissoluzione. Il Trionfo della Morte di Buonamico Buffalmacco, ma ancora di più il luogo specifico, il cimitero, che è anche traslato. Metonimia, infatti, è Pisa bombardata nell’agosto del ’43, proiezione di un posto che si espande nella coscienza: Europa, «Occidente circondato da guerre apparentemente» – negli anni ’90 – «concluse» (così Anedda in nota al libro da cui è estratto il testo); infine morte e assenza che si accompagnano al luogo. Segnali di una devastazione esterna che si insinua nell’intimo del soggetto, e lo svuota. Forse per questo il testo è come spezzato, c’è un preambolo (le prime due strofe) in cui la presenza del mittente è ancora manifesta, anche se l’osservazione è già memoria, «Quale contrasto tra i vivi e i morti, che vento/ e luce di memoria», ma senza compianto, «Questa non è un’elegia/ qui solo un viso si abbassa sulla pietra/ reso adulto dal fuoco», fino a proiettarsi in una voce aliena (chi parla?) che conclude l’ultima strofa. In quello che sembra un monologo, la memoria si trasforma in voce che parla forse solo a se stessa, vacanza del destinatario. La sermocinatio introduce un fantasma, l’ombra di un luogo in attesa (il “nostro” Occidente, la casa, l’identità) di elaborare il lutto della sua scomparsa.