
Svjatlana Aleksieviĉ (Fonte: Il Libraio)
di Daniele Greco
Il Nobel per la letteratura 2015 a Svjatlana Aleksieviĉ
Alle 13:00 in punto di oggi su youtube, e ripreso in diretta sui maggiori canali all news, la segretaria permanente dell’Accademia di Svezia, Sara Danius ha proclamato la vincitrice del Nobel per la letteratura 2015: la giornalista e scrittrice bielorussa Svjatlana Aleksieviĉ (31 maggio 1948).
Aleksieviĉ – come riferisce la voce completa e esaustiva di Wikipedia – da anni vive lontano dalla Bielorussia, dopo essere stata più volte minacciata dal regime del presidente bielorusso Lukaŝenko e ritenuta una spia della Cia.
La scelta dell’Accademia di Svezia ha premiato un’autrice di reportage che ha seguito molto da vicino il crollo dell’Unione Sovietica ed è conosciuta e pubblicata in molti paesi del mondo (in Italia è pubblicata da E/O e Bompiani).
La motivazione ha sottolineato le qualità letterarie di Aleksieviĉ per quanto concerne “la sua scrittura polifonica, un monumento alla sofferenza e al coraggio nel nostro tempo”.
Meno di un mese fa, l’11 settembre scorso, Aleksieviĉ è stata ospite del Festival letteratura di Mantova in un incontro col giornalista Gian Piero Piretto dal titolo emblematico di Homo sovieticus.
Sul sito del Festival è presente un ritratto breve ma molto denso e suggestivo della parabola letteraria di Aleksieviĉ che riportiamo per intero.
«Svetlana Aleksievič (1948) è una giornalista e scrittrice bielorussa. I suoi libri sono stati pubblicati in più di venti paesi e rappresentano uno struggente romanzo corale degli uomini e delle donne vissuti nell’Unione Sovietica e nella Russia post-comunista del XX secolo. La sua prima pubblicazione, “The Unwomanly Face of the War” (1985), guarda alla Seconda Guerra Mondiale e al fronte russo a partire dalle testimonianze di donne che hanno esperito in prima persona la tragedia del confitto. Accusata da principio di pacifismo, naturalismo e de-glorificazione della donna sovietica, l’opera matura nella temperie culturale degli anni Ottanta e viene accolta con calore in madrepatria, al pari del lavoro “The Last Witnesses: 100 Unchildlike Stories”, pubblicato nello stesso anno e riconosciuto come un’altra pietra miliare della narrativa di guerra. Il libro-inchiesta “Ragazzi di zinco” esce nel 1989 e decostruisce il mito del conflitto russo-afghano, provocando una serie di processi contro l’autrice che avranno fine solo dopo le innumerevoli proteste di attivisti per i diritti umani. Nel 1997 Alexievič pubblica “Preghiera per Chernobyl”, un reportage narrativo incentrato sulla crisi esistenziale delle persone colpite dall’incidente nucleare del 1986, evento «che ha avvelenato ogni cosa che hanno dentro, e non solo intorno». Perseguitata dal regime autoritario del presidente Aleksandr Lukašenko, la giornalista è stata costretta per anni ad abbandonare la Bielorussia e i suoi libri sono stati banditi dal paese. A oggi ha firmato altri testi fondamentali, tra cui “Tempo di seconda mano”, un potente affresco che ha come sfondo il crollo dell’impero sovietico e come protagoniste, ancora una volta, le voci delle «piccole persone» raccolte nell’arco di decenni per testimoniare la fine di un’epoca. «Lo scopo del mio lavoro – ha scritto Aleksievič – è comprendere quanta umanità si nasconda in un essere umano e capire in che modo possa preservarla». Le sue opere hanno ispirato numerose sceneggiature e pièce teatrali. Nel 2013 il suo nome figurava tra i candidati al Nobel per la letteratura».
FONTE
http://www.festivaletteratura.it/it/2015/eventi/77-homo-sovieticus-124