
Jacopo Ricciardi
di Gianluca D’Andrea
Spazio Inediti (15): Jacopo Ricciardi
L’ultimo mondo (Sonetti)
*
Sapete di mentire voi che dite
“Amo” per innamoramento. Alta
Divina meraviglia delle vite
Di un mondo ove tutto vive e risalta
Sembra amore da angelica pirite
Generato per tutti come malta
Come incontrata palta o malachite
Verdeggiante che tutto qui ribalta.
L’essere umano e l’essere sé spaccano
Per noi l’amore in una valle fosca
Dove a tastoni si trova l’alpacca.
Sempre prima che tu mi riconosca
Accade l’amore mio, dolce sandracca,
Mentre non sei che fiera matriosca.
Tornando in lingua osca:
L’amore è mente ma sacra biologia
O amore mente e massacra biologia.
*
Il poco è forse vero annientamento?
Il quotidiano sai si erode lento,
E la visione è nonostante l’uomo,
Due volte, nel vedere, nell’essere,
E chi la ha avuta le sopravvive,
Nella sua scia come di cometa.
La nostra camera è materia oscura.
Sorto tra le tue braccia, dai, balliamo!
Ahimé, l’immagine umana richiede,
Un tempo lungo che ci fa suoi servi
E mentre si prepara, attendiamo,
Moriamo amiamo con la sola parte
Di una vita incompleta che rasenta
Il canto alto in guerra del poeta.
*
Sul tetto dei mari tutta la gente
Va, mentre il sole nei giorni alto splende,
Sull’enorme pietra dura vivente,
Camminando ormai magri senza tende,
Nella pianura che a loro mai mente,
Verso la notte che nel mentre scende
Quando ancora là nulla si sente.
In un lager di luce si rapprende
L’umanità di oggi, lunga fuga
Di morti. Resto accanto alla città
Irrequieta, con nel piatto la lattuga,
Alla finestra la mia serietà,
Il vessillo rosso che al vento ruga
Il vuoto cittadino dell’Età.
*
Guerra vergine, guerra nascitura,
Ma prima, guerra sfuggita alla vita,
Da te chi resta avrà gloria futura
Ma perdona se non ti invoco inclita;
Incredulo pensando, la paura
Genera amore che subito è vita
Poi morte sospesa in semplice abiura,
E temo dei due gemelli le dita.
Le iridi marroni mie nel caos
Volgo ai due amanti giganti e schivi
Nella penombra della stanza, i naos
Perduti, e quando una finestra aprivi,
Per sdraiarsi nel palmo oro del Laos,
Fu già l’acropoli morta dei vivi.
*
Curioso Tu che sei sostanza ironica
Che non sei vivo ma esisti in canonica.
Quando son’ vivo da me sai dipendere
E io dipendo sai dal tuo dipendere.
Ma meglio potrò capirti da morto
Sì come nella notte dentro a un porto.
Tutto quanto fatto è già stato fatto
E Dio è un acciambellato gatto.
Il non rispondere è colmante e meglio
Dopo la morte che non è risveglio.
Dio sei ogni parola dentro e fuori;
Il mio sonetto sta qui per i cuori.
Dio, è la morte della persona;
Da lì, Dio, è il niente che suona.

Jacopo Ricciardi, Mirage 1
Scrivere nella forma alta della tradizione in tempi d’ibridazione dei linguaggi potrebbe sembrare scelta retriva o, il che è peggio, “reattiva”. Non c’è reazione in Ricciardi, che in passato ha fatto della sperimentazione fonte di ricerca assidua, si ricordino almeno i titoli Poesie della non morte (Scheiwiller, 2003), Colosseo (Anterem, 2004) e Plastico (Il Melangolo, 2006), tra i più significativi del modo di agire del poeta romano. La forma, infatti, una volta “plastica”, magmatica, si pietrifica negli inediti e tende a raggiungere la pulizia dell’origine, a segnare, però, una fine: il transito si interrompe in questa maniera fossile, forse nell’intenzione di eludere ogni dialettica, per dare sfogo a un’evidenza (per questo la chiarezza): «Fu già l’acropoli morta dei vivi», cioè l’immagine monumentale del corpo – e della lingua – fa parte dei residui, e delle archiviazioni, di una vita ormai perduta. Morte che “suona” nonostante il niente e un bisogno spirituale (ideale) che si proietta fuori dal tempo, reperto mobile che si vuole eterno.
Jacopo Ricciardi è nato nel 1976 a Roma, dove vive e lavora. Vincitore di diversi premi, ha pubblicato sette libri di poesie – Intermezzo IV (Campanotto, 1998), Ataraxia (Manni, 2000), Atòin (Campanotto, 2000), Scultura (con Teodosio Magnoni; Exit, 2002), Poesie della non morte (con Nicola Carrino; Scheiwiller, 2003), Colosseo (Anterem, 2004), Plastico (Il Melangolo, 2006), Scheggedellalba (con Pietro Cascella; Cento amici del libro, 2008). Ha ideato e curato dal 2001 al 2006, per Aeroporti di Roma, il progetto culturale “PlayOn” e ha diretto l’omonima collana presso Scheiwiller. Ha pubblicato due romanzi, Will (Campanotto, 1997) e Amsterdam (PlayOn, 2008). È presente nell’antologia “Nuovissima poesia italiana” (Mondadori, 2005) curata da Maurizio Cucchi e Antonio Riccardi.