
Osip Mandel’štam
di Gianluca D’Andrea
Osip Mandel’štam: una poesia da Ottanta Poesie (2009)
Epoca
Chi potrà, mia epoca, mia belva,
fissarti nelle pupille un istante
e di due secoli agganciare le vertebre
incollandole con il proprio sangue?
Le cose terrestri dalla gola
zampillano sangue carpentiere;
sul limitare dei nuovi giorni
che, se non il mangiafumo, trema?
La creatura fino a che c’è vita
deve in giro portare la sua schiena,
e l’onda, il flutto al gioco si affidano
di un’invisibile spina dorsale.
Tenere cartilagine di bimbo
è l’epoca neonata della terra:
di nuovo hanno sacrificato l’apice
della vita come fosse un agnello.
Per scioglier l’epoca dalle catene,
per dare inizio a un mondo nuovo
bisogna, a mo’ di flauto, unire insieme
le piegature dei nodosi giorni.
È l’epoca a gonfiare d’angoscia
umana il flutto che s’increspa; e l’aurea
misura dell’epoca ha il respiro
della vipera nascosta fra l’erba.
E ancora le gemme si gonfieranno,
la vegetazione schizzerà tallì,
ma, epoca mia, bellissima e grama,
è in pezzi la tua spina dorsale.
E con un povero sorriso demente
ti volti a guardare crudele e fiacca,
come una belva che fu agile un tempo,
le orme lasciate dalle tue zampe.
1922
(Traduzione di Remo Faccani)
Postilla:
Ma il tempo diventa assoluto solo nella contingenza. Mandel’štam lo sa e dall’inizio la composizione ci parla di “cose terrestri” e lavoro e speranza di “nuovi giorni” di miglioramento. Ma l’epoca è una “belva” in sospensione perenne e spezzata. Il trancio di tempo è rotto ma in costruzione continua (il “sangue carpentiere”), l’infrastruttura “invisibile spina dorsale” in crescita, “neonata”. Alla fine della seconda strofa (metà composizione) appare l’agnello, il simbolo del riscatto nel sacrificio, del mondo nuovo. E infatti “un mondo nuovo” apre il secondo respiro del testo, ma fatto del nuovo lavoro che unirà “le piegature dei nodosi giorni”, inestricabili, incomprensibili, inaccessibili ancora per le parole: per questo “l’aurea/ misura dell’epoca ha il respiro/ della vipera nascosta fra l’erba”, il ritmo “nuovo” è nascosto da sempre nel vecchio male perché è la storia a farsi cammino, una tradizione zoppicante di uomini che, travasati nel linguaggio, si accingono a carpire il futuro. La vipera ha un respiro che si lega al suono del flauto – altro simbolo poetico -, all’altezza del canto si ripete la distruzione dopo il rifiorire del tempo (“la vegetazione schizzerà talli”), perché il presente è già una spina dorsale spezzata. L’epoca muore e rinasce, belva invecchiata sulla spinta a un assoluto sempre da venire, eppure già avvenuto, e solo la “parola”, cambiando i suoi strumenti, può continuare a dire la speranza del suo perpetuarsi. Mandel’štam non dice nulla se non la perfezione di un composto: riesce per un attimo a incanalare un flusso nella scatola chiusa della forma strutturata, ospita il tempo in un cantiere precisissimo ma già frantumato e, forse per questo, veramente perfetto.