Andrea Zanzotto: una poesia da “Meteo” (Donzelli, 1996) – Postille ai testi

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Zanzotto, Meteo (Collage di Gianluca D’Andrea)

di Gianluca D’Andrea

Andrea Zanzotto: una poesia da Meteo (1996)

meteo

Leggende

Nel compleanno del maggio
«Tu non sei onnipotente»
dice la pallida bambina

*

Polveri di ultime, perse
battaglie tra blu e verde
dove orizzonti pesano sulle erbe

*

Lievi voci, api inselvatichite –
tutto sogna altri viaggi
tutto ritorna in minimi fitti tagli

*

Forse api di gelo in sottili
invisibili sciami dietro nuvole –
Non convinto il ramoscello annuisce

*

Voglie ed auguri malaccetti,
viole del pensiero
sotto occhi ed occhi
—————————–quando maggio nega

*

Il bimbo-grandine, gelido ma
risorgente maggio,
«Non sono onnipotente»
batte e ribatte sui tetti

*

«Mai più maggio» dicono
in grigi e blu
segreti insetti grandini segrete

*

Mai mancante neve di metà maggio
chi vuoi salvare?
Chi ti ostini a salvare?

*

Come, perché, il più cupo
maggio del secolo – cento
anni d’oscurità in un mese?

*

Acido spray del tramonto
Acide radici all’orizzonte
Acido: subitamente inventati linguaggi

1985


Postilla:

Mistero del tempo, cronologico, atmosferico? Come sempre cupezza e luce in Zanzotto s’innestano sulla riflessione della “propria” contemporaneità.
C’è, in principio il tentativo del racconto, l’atmosfera del mutamento (climatico?) e l’azione “acida” è quella dell’uomo cui spetta un finale arrembante: anafore e climax a seguire, a perseguitare l’orrore dell’azione distruttiva, in bilico tra l’ibridazione («Acido spray del tramonto», spray che traccia l’annientamento del tramonto o tramonto che si trasforma nel nuovo scenario del negativo?) e l’innovazione che è conseguenza di un’evoluzione, un diverso attraversamento («Acide radici all’orizzonte»). E infatti l’«acido», sema di dissoluzione, si apre a immediate trasmutazioni, invenzioni, nuovi «linguaggi».
L’ultimo Zanzotto, quasi ingabbiato tra vecchio e nuovo mondo, manifestando disprezzo estremo per l’abrasione etica effettuata dall’azione antropica e dal moderno, insinua la speranza che qualcosa riemerga dalle macerie. Per questa speranza «tutto sogna altri viaggi/ tutto ritorna in minimi fitti tagli», tutto può ripresentarsi come leggendarie «api di gelo» o favola assoluta del «ramoscello» che, per quanto «non convinto», «annuisce».
La parola si era spezzata e adesso acconsente al nuovo racconto, disponendosi, così, in sordina, all’alterazione del tempo.

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