La ricezione di Montale in Europa. Paulina Malicka: «Oggi ti porgo un dono in forma di parole»: Eugenio Montale e la sua (in)attualità in Polonia

Montale Eugenio

Eugenio Montale (© Giorgio Lotti , 1975)

Paulina Malicka*

«Oggi ti porgo un dono in forma di parole»:
Eugenio Montale e la sua (in)attualità in Polonia

(Testo contenuto in L’Italia e la cultura europea, Franco Cesati Editore, Firenze 2015)

litalia-e-la-cultura-europea

L’affermazione che la poesia di Eugenio Montale, uno dei più grandi poeti del Novecento italiano, abbia lasciato poche tracce in Polonia (per non parlare della sua attività critico-letteraria, giornalistica o prosastica), è diventata quasi un mantra ripetuto instancabilmente dagli addetti ai lavori che da oltre 50 anni tentano con diversi risultati di avvicinare al lettore polacco la figura del Nobel italiano. Dalla pubblicazione delle prime traduzioni polacche della poesia montaliana e dalla comparsa dei primi testi critici, o per meglio dire dei primi paratesti a essa dedicati, ci separa mezzo secolo e a queste latitudini, dopo oltre un decennio del ventunesimo secolo, pare che nulla sia cambiato: Montale continua a essere definito come sfortunato in quanto quasi del tutto assente all’interno di un contesto critico-letterario e traduttologico nel nostro paese. Un tale stato di cose può suscitare un certo disorientamento soprattutto se si pensa alla non indifferente frequenza con cui a partire dal 1958 venivano pubblicate le traduzioni delle liriche montaliane in diversi periodici, riviste e antologie, accompagnate spesso dalle note biografiche o dai saggi critici. Esiste quindi un marcato squilibrio tra la quantità di nuovi testi tradotti che arrivano nelle mani di un lettore polacco e il comunicato ripetitivo che li accompagna. Così tra le formule che a volte seguono le liriche montaliane in polacco troveremo un continuo ripetersi dei «quasi sconosciuto» o «poco conosciuto» che sembra suggerire come la presenza di Eugenio Montale nel nostro paese sia pressoché nulla, ma nello stesso tempo paradossalmente riconferma il contrario.
A forza di sottolineare la non-presenza di Montale sul nostro mercato editoriale si è caduti in una sorta di trappola adottando la formula stereotipata che racchiude la figura del poeta e la sua immagine nella nicchia perenne dei grandi incompresi, spesso senza approfondire il livello effettivo della divulgazione della sua opera in Polonia. A cadere in questo fuorviante cliché è stata del resto la scrivente stessa che ha dato troppo credito alle fuggevoli notizie dedicate al caso Montale, ritrovate tra le pagine dei periodici, riviste letterarie e settimanali come «Literatura na Świecie», «Znak», «Nowa Kultura», «Współczesność» e tra quelle contenute in diverse antologie o bibliografie e in due uniche raccolte dei versi montaliani; la prima tradotta da Zygmunt Ławrynowicz (Wiersze Wybrane, Londyn, Kwiat Lotosu, 1977), la seconda curata da Halina Kralowa (Montale. Poezje wybrane, Warszawa, PIW, 1987).
Nel tentativo di sfatare il mito di una fama infelice di Montale in Polonia, un importante contributo va riconosciuto a Jadwiga Miszalska, Monika Gurgul, Monika Surma-Gawłowska e Monika Woźniak, autrici della bibliografia Od Dantego do Fo; włoska poezja i dramat w Polsce (od XVI do XXI wieku), dove per la prima volta vengono raccolti e sistematizzati i testi di e su Montale. In soccorso vengono subito dopo le ricerche del 2013 di Mateusz Kłodecki [1], condotte sotto la supervisione della professoressa Joanna Szymanowska dell’università di Varsavia che gettano nuova luce sulla ricezione del Nobel italiano nel nostro paese. Le ricerche di Kłodecki dimostrano che Montale in Polonia sicuramente c’è, ma che le sue tracce sono molto dispersive e disseminate in circa 30 periodici, 15 libri dedicati alla letteratura italiana o mondiale e in 15 enciclopedie, mentre la quantità delle liriche tradotte ammonta a 190 con 250 versioni proposte da circa 26 traduttori.
La vastità delle fonti a cui ha attinto il meticoloso studente lascia davvero perplessi: le tracce di Montale si disperdono tra varie riviste, settimanali, giornali, periodici, manuali, monografie, dizionari ed enciclopedie. Le testimonianze della sua presenza in Polonia quindi ci sono, anche se frammentarie e disorganiche. Tuttavia è pur sempre un Montale incompleto, soprattutto se prendiamo in considerazione la monotonia delle tematiche con cui si è soliti descrivere la sua poesia e la mancanza di quelle che invece permetterebbero di scoprire un nuovo volto della sua scrittura poetica. I suggerimenti su come leggere ci arrivano dal poeta stesso che nel 1975, in riferimento alla quarta raccolta poetica intitolata Satura, spiegava: «Ho scritto un solo libro, di cui prima ho dato il recto, ora do il verso» [2]; e altrove ribadiva: «I primi 3 libri sono scritti in frac, gli altri in pigiama o, diciamo, in abito da passeggio». In Polonia il rovescio della medaglia purtroppo continua a mancare.
L’aggettivo sfortunato che per 50 anni è stato ripetutamente affibbiato alla figura di Eugenio Montale in Polonia appare nella relazione di Eugeniusz Kabatc, all’epoca redattore della rivista «Letteratura nel mondo», presentata in occasione del Convegno Internazionale La poesia di Eugenio Montale tenutosi a Genova dal 25 al 28 novembre 1982, un anno dopo la morte del ligure. Kabatc parla della sfortuna anziché della fortuna del poeta in Polonia e lamenta con amarezza la scarsa conoscenza di Montale in Polonia, rivendicando però in anticipo l’ottusità italiana nei confronti del Nobel polacco Czesław Miłosz. Ecco il malizioso, ma alquanto significativo commento del critico:

Due anni fa con vero dispiacere, per la verità addirittura disgustati, abbiamo sentito italiani reagire per il nuovo premio Nobel, che era appunto un polacco: «ma chi è questo Czesław Miłosz? Mai sentito nominare!». Una cosa triste, sì, poco piacevole per noi polacchi, ma devo ricordare che la stessa domanda, qualche anno prima, si era avuta in Polonia, in occasione del nuovo Nobel italiano: «ma chi è questo Eugenio Montale? Mai sentito nominare!» Che tristezza, ripeto, la poesia gira e rigira attorno a noi, ma non ci tocca affatto, quasi non fossimo più Europa [3].

La conclusione è davvero preoccupante: la poesia straniera (italiana o polacca che sia) in generale già allora veniva letta e tradotta sempre meno e Kabatc non intende convincerci del contrario. Cercando di spiegare il motivo della sfortuna di Montale in Polonia, Kabatc allude tra le righe all’incomprensibilità della sua parola poetica e alla difficoltà o addirittura all’impossibilità di tradurla in quanto in ogni passaggio da una lingua all’altra si cela un tradimento, vi si imprime un’inevitabile traccia di noi stessi che traduciamo, o peggio ancora vi si cancella la traccia di partenza e si sottomette il testo tradotto «alla propria personalità poetica» [4], come quando il poeta traduttore supera il poeta tradotto. Il critico, infine, accoglie con grande entusiasmo il prezioso contributo di Halina Kralowa (a suo avviso la più grande esperta di Montale accanto a Ławrynowicz), che nell’antologia delle poesie montaliane propone nuove traduzioni delle sue poesie fatte dai «giovani scrupolosissimi traduttori» [5] e dagli «illustri poeti polacchi» [6] e conclude dicendo che la poesia del Nobel non ha avuto una grande fortuna in Polonia, ma i più sfortunati siamo noi lettori polacchi che continuiamo ad avere sempre troppe poche occasioni per incontrarla. Due anni dopo il convegno genovese, sulle pagine della rivista «Literatura na świecie», Kabatc ricorda l’evento con un disarmante interrogativo:

Soltanto la morte scopre un poeta? Gli strappa di dosso la fradicia materia delle vesti di costume, quelle sociali, politiche, denuda completamente il corpo e l’anima di un uomo che in ogni caso ha qualcosa di più da dire rispetto a noi? [7]

In effetti, in Polonia è soprattutto con l’effetto Nobel e con la scomparsa del poeta che si torna a ricordarlo, a rileggerlo e a tradurlo con più assiduità e convinzione.
Tra i più significativi vanno menzionati l’intervento di Halina Kralowa su «Polityka» (44/1975) intitolato Il poeta disimpegnato, quello di Zygmunt Ławrynowicz, Eugenio Montale, pubblicato su «Tygodnik Powszechny» (45/1975), cui segue il testo di Marek Baterowicz, Eugenio Montale Nobel – 1975, apparso anch’esso su «Tygodnik Powszechny» (50/1975), quello di Elżbieta Jogałło su Przekrój (1597/1975) e molti altri ancora che non sfuggono all’attenta indagine di Mateusz Kłodecki. Alla lista dei grandi che contribuiscono alla successiva promozione della lirica montaliana in Polonia si aggiungono i saggi di Jadwiga Miszalska del 1987 Montale – il poeta dei nostri tempi pubblicato su «Znak» (389/1987) e accompagnato dalla traduzione dell’autrice della lirica Sogno del prigioniero; quello di Jarosław Mikołajewski (Słowo o hermetyzmie) e di nuovo quello di Halina Kralowa (Trobar clus współczesnego poety) su «Literatura na świecie» nel n. 11 del 1987 con traduzioni di Cezary Geroń; vi si aggiungono in seguito le traduzioni di Joanna Ugniewska raccolte nell’antologia Radość rozbitków. Antologia poezji włoskiej XX wieku a cura di Jarosław Mikołajewski, che propone nello stesso volume la sua traduzione dell’unica poesia appartenente alla raccolta Poesie disperse intitolata Non ho molta fiducia d’incontrarti.
L’immagine di Eugenio Montale e la natura della sua poesia che viene delineata nei saggi critici degli studiosi polacchi è spesso univoca e ripetitiva e la collocazione stessa di singole traduzioni è spesso casuale e priva di ulteriori commenti. Oltre alle informazioni bibliografiche, ai fatti di vita vissuta, alle vicende personali e ai diversi momenti della formazione del poeta, scopriamo la particolarità del suo universo poetico, che ruota attorno a temi quali il pessimismo e il malessere esistenziale, il male di vivere, il delirio di immobilità, la frustrazione, l’incapacità di decidere, l’impossibilità di superare il varco di obblighi e di necessità che opprimono l’individuo, l’imbarbarimento della cultura, l’invasione dei mezzi di massa.
Una tale visione della poetica montaliana inquadrata come ermetica, buia, incomprensibile, lapidaria – soprattutto nella prima fase dell’attività letteraria di Montale – e a tratti ironica, burlesca, comica, caratterizzata da un linguaggio colloquiale e prosastico – come quello presente nelle raccolte Satura, Diario del ’71 e del ’72, Quaderno di quattro anni, Altri versi – non permette, a mio avviso, di scoprire a fondo la peculiarità del suo messaggio poetico e comprenderne la missione. Abituati a leggere Montale attraverso una lente di ingrandimento che raddoppia e rafforza la sua fama di sfortunato, in quanto poco noto al pubblico polacco e particolarmente inaccessibile sul piano della comprensione, non riusciamo a cogliere il verso di cui parlava Montale, il rovescio della sua prima stagione poetica. Il verso che forse potrebbe invogliare sia i traduttori che i lettori stessi non solo in Polonia, ma anche in Italia, a ritornare sui passi montaliani, inseguire le sue tracce e provare a decifrare ancora una volta il loro significato.
Le ultime due raccolte montaliane, Diario Postumo e La casa di Olgiate e altre poesie, che al lettore italiano sono giunte dall’aldilà, nel 1996 la prima e nel 2006 la seconda, tardano ad arrivare nel nostro paese. Allora sì che il secondo Montale, quello in pigiama o in abito da passeggio, appare davvero sfortunato in Polonia, in quanto del tutto assente sia nelle riviste letterarie sia nelle antologie. E la cosa ancora più preoccupante è che oggi, nell’ambito dell’editoria polacca, nessuno pare interessato a scoprire questo ottavo o addirittura nono Montale, a dedicargli una sola nota, a tradurre un solo verso. Che si tratti di una questione giuridica di diritti d’autore, in fondo non cambia molto: rimaniamo noi i veri sfortunati per non aver incontrato più spesso lo spiritoso vecchietto in pigiama.
Nel 1969 Montale, tentato dall’idea di pubblicare un libro postumo, donava all’amica-poetessa Annalisa Cima due liriche di cui lei stessa era destinataria e ispiratrice: Mattinata e Foce. Fu l’inizio di «una serie di preziosi doni» [8] che dovevano rinsaldare l’amicizia fra il poeta e la donna. Il geniale progetto del poeta voleva costituirsi per fasi successive a partire dal quinto anniversario della sua morte, avvenuta nel 1981. In tal modo i sessantasei componimenti distribuiti in undici buste avrebbero visto la luce del giorno con una scansione annuale, scatenando un vero e proprio polverone della critica. In conformità con il desiderio espresso dal poeta, le prime sei liriche furono pubblicate in un fascicolo intitolato Poesie inedite di Eugenio Montale.
Nell’arco di undici anni si delinea così un’opera nuova che con l’ultima busta si arricchisce imprevedibilmente di altri diciotto testi risalenti al periodo 1969-1979. La prima parte dell’ottavo libro montaliano che Annalisa in veste definitiva ha voluto intitolare Diario postumo è uscita nel 1991 nella «Collana dello Specchio» di Mondadori e conteneva trenta poesie. La versione completa del Diario, con un totale di sessantasei componimenti più altri diciotto conservati nell’ultima busta, è apparsa nel centenario della nascita del poeta, ovvero nel 1996, con una postfazione dell’erede e curatrice dei versi. Tra i motivi ricorrenti nel Diario spiccano quelli dell’amicizia, della paternità desiderata e mai vissuta. Non mancano critiche al costume sociale, condanne al consumismo, all’utilitarismo e alla civiltà imbarbarita, diffidenza nei confronti delle scoperte scientifiche e tecnologiche. Tuttavia, il perno centrale della raccolta è per eccellenza la donna-Annalisa e la gratuità del dono della poesia che lei stessa rappresenta e a cui lei stessa allude nella postfazione, constatando che

Lasciare erede qualcuno non è solo un atto di magnanimità, in questo caso è un modo per restare materiato in fogli, buste, scritti, è l’esigenza di ricreare un mondo dopo di noi dove la presenza della parola sia attualizzata, rivolta all’amico in quell’istante prezioso che è il presente. Montale, visitatore dell’altro mondo, compie un viaggio nel dopo per desiderio di una seconda vita; questa è la chiave dell’enigma che lasciò sotto forma di dono [9].

Non a caso in una lirica del Diario postumo, il cui verso offre il titolo a questo testo, leggiamo:

[…] Oggi ti porgo un dono in forma di parole,
perché tu possa inerpicarti e resistere
alla sorte; hai tre talismani:
penna, musica e colori.
Il tuo crederti inutile, che ripeti
Sovente, mi fa dire: rimani, accetta,
anch’io sono un fallito come gli altri;
siamo dei condannati che cercano
una tregua e proprio mentre ogni cosa
sembrava incarbonirsi, quest’anime confuse
sentono accanto un’anima gemella[10].

Il dono di cui parla la destinataria della raccolta e di cui scrive il poeta assume qui una funzione molto significativa in quanto assurge al ruolo di un vero e proprio progetto poetico, che si sottrae al tempo e che straborda le dimensioni per raggiungere il lettore e offrirgli a piene mani un contaminarsi reciproco di vita e scrittura. E nonostante il fatto che i testi postumi di Montale abbiano trovato uno scarso riscontro presso gli esegeti, non possiamo screditare l’importanza di questo penultimo lascito testamentario di Montale che, a nostro avviso, getta luce sull’intero corpus poetico del ligure. L’ultima raccolta del poeta acquista, secondo noi, un valore fondamentale nella corretta ermeneutica del suo intero corpus poetico. Non tanto per le tematiche, quanto per l’intenzionalità del gesto del suo artefice che vi si trova implicata. L’idea del poeta di consegnare la propria poesia al dopo di sé la rende dono pregiato per eccellenza, gratuito, disinteressato, in quanto non attende il ricambio ma rivendica l’accoglienza. L’estrema libertà e l’imprevedibilità con cui ci viene offerta svela la natura dell’arte poetica di Montale, scevra da qualsiasi tornaconto e da qualsiasi violenza di uno scambio imposto.
Questo è l’ultimo dono fortemente voluto e intenzionale del poeta, una voce perenne quale è quella della poesia la cui interpretazione può, anzi deve, rimanere inesauribile. Questo è un Montale che il lettore polacco purtroppo non conosce e che forse dovrà attendere anni per incontrare e per leggere magari in pigiama o anche senza veli. Non importa, tanto la sua parola non potrà mai denudarlo, nello stesso modo in cui la morte di un poeta non può scoprirlo del tutto e svelare il mistero della sua poesia, come pensava fosse accaduto Eugeniusz Kabatc oltre trent’anni fa. La poesia di Montale, al contrario, ci riveste sempre di doni pregiati, come del resto ogni buona scrittura poetica sa fare, compresa quella di Miłosz. La poesia la ascoltiamo solo nei giorni di festa [11], si lamentava Kabatc a Genova nel lontano 1982. Ma oggi è un giorno di festa e oggi Montale ci porge «un dono in forma di parole», a cui fa coro quello di Miłosz: anch’esso intriso di una gratuità verticale che sentiamo giungerci dall’aldilà, come quando ci si alza in piedi per vedere e far confluire in noi «il mare azzurro e le vele» [12].

DONO (Czesław Miłosz)

Un giorno così felice.
La nebbia si alzò presto, lavoravo in giardino.
I colibrì si posavano sui fiori del quadrifoglio.
Non c’era cosa sulla terra che desiderassi avere.
Non conoscevo nessuno che valesse la pena d’invidiare.
Il male accadutomi, l’avevo dimenticato.
Non mi vergognavo al pensiero di essere stato chi sono.
Nessun dolore nel mio corpo.
Raddrizzandomi, vedevo il mare azzurro e le vele.


Note:

* Università Adam Mickiewicz di Poznań

[1] Mateusz Kłodecki, L’immagine di Eugenio Montale in Polonia. Analisi dei contesti e dei paratesti, tesi di laurea scritta sotto la supervisione di Joanna Szymanowska, presso la cattedra di Italianistica di Varsavia, 2013.

[2] Eugenio Montale, Sulla poesia, Milano, Mondadori, 1976, p. 593.

[3] Eugeniusz Kabatc, Fortuna e sfortuna della poesia di Eugenio Montale in Polonia, in La poesia di Eugenio Montale. Atti del Convegno Internazionale tenuto a Genova dal 25 al 28 novembre 1982, a cura di Sergio Campailla e Cesare Federico Goffis, Firenze, Le Monnier, 1984, pp. 437-438.

[4] Ivi, p. 441.

[5] Ibid.

[6] Ibid.

[7] Eugeniusz Kabatc, Genua ’82, in «Literatura na Świecie», 1984, 1/150, p. 324.

[8] Angelo Marchese, Prefazione al Diario postumo. 66 poesie e altre, a cura di Annalisa Cima,
Milano, Mondadori, 1996, p. XV.

[9] Annalisa Cima, Diario postumo, cit., p. XI.

[10] Eugenio Montale, Nell’orizzonte incerto d’una porta, in Diario Postumo, cit., p. 70.

[11] Cfr. Eugeniusz Kabatc, Fortuna e sfortuna, cit., p. 443.

[12] Czesław Miłosz, Dar, in Wiersze wszystkie, Kraków, Znak, 2011.

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