IL RAGAZZO DELLA PORTA ACCANTO

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una scena dal film IL RAGAZZO DELLA PORTA ACCANTO

di Francesco Torre

IL RAGAZZO DELLA PORTA ACCANTO

Regia di Rob Cohen. Con Jennifer Lopez (Claire), Ryan Guzman (Noah).
Usa 2015, 91’.

Distribuzione: Universal Pictures.

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Claire, l’insegnante di liceo più glamour del mondo, da nove mesi vive separata dal marito fedifrago ma penitente. Vorrebbe ricomporre ciò che resta del proprio matrimonio e lasciarsi alle spalle il rancore, ma l’incontro con Noah, il diciannovenne più vecchio della storia del cinema (ma non della tv: ricordate Luke Perry in Beverly Hills 90210?), scombina tutto. Ossessionata dai gonfi bicipiti del ragazzo e piacevolmente colpita dalla sua conoscenza dei classici greci (ebbene sì!), la prof cede alle tentazioni e si concede una liberatoria notte di sesso. Il giorno dopo vorrebbe dimenticare tutto, ma il ragazzo non è della stessa idea, e pur di mantenersi in contatto con la donna non esita ad esibire competenze da hacker per infilarsi nella sua classe. É l’incipit di un’escalation di minacce, violenze e azioni criminali che metteranno in discussione prima la reputazione e poi l’incolumità fisica di Claire e delle persone a lei vicine (vicepreside compresa).
Quando apprende che Claire non ha alcuna intenzione di portare avanti una relazione con l’amico di suo figlio, Noah si infervora e prende a pugni la porta di casa. La donna lo guarda sorpresa e già spaventata. La macchina da presa, posizionata dietro il tavolo del soggiorno, con un movimento verticale scivola in basso verso il pavimento, andando poi a dissolvere sul nero, quasi a voler simbolicamente sottolineare come dietro l’aspetto da bravo ragazzo si nascondano delle forze oscure che avranno ben presto il sopravvento. La soluzione tecnica è efficace, cristallizza quel fondamentale snodo narrativo, chiude una prima parte del film infarcita di promesse erotiche e rilancia il percorso di minacce, tensione e pericolo che seguirà da lì in avanti, e tutto visivamente. Purtroppo, però, si tratta solo di un sussulto, l’unico caso in cui il regista Rob Cohen (autore del primo Fast & Furious) sembra essere in grado di manipolare con coscienza cinematografica un materiale drammatico così infiammabile. Campo e controcampo, luci calde, inquadrature che nulla nascondono delle morbide curve di Jennifer Lopez, montaggio lineare con uso strumentale (e discutibile) del flashback. Tra clichés e ammiccamenti, la confezione visiva del film non riesce mai ad emanciparsi dalle gravi incertezze di una sceneggiatura che piega i personaggi a mere funzioni narrative, incapace di seminare tensione e di tracciare con un minimo di affidabilità psicologica il profilo patologico attendibile di un giovane stalker contemporaneo.
Con un pizzico di sana (auto)ironia forse le citazioni dall’Iliade, i sontuosi vestiti da sera indossati da Jennifer Lopez per recarsi dal dottore, le prodezze criminali che il giovane esibisce senza mai essere sfiorato dal pericolo di un intervento della pubblica sicurezza, avrebbero avuto la dignità di un colto campionario trash, autoreferenziale gioco di rimandi cinematografici con una sequenza finale splatter da weirdo cult della storia del cinema.
Il puritanesimo dello script, il moralistico attacco a qualsiasi forma di adulterio, la visione di un precipizio d’orrore come giusta penitenza per l’espiazione di banali sensi di colpa, allontanano però il film da ogni prospettiva di irriverenza, di giocosità linguistica, di ammiccamento politically incorrect all’ipocrita pruderie della borghesia occidentale, il cui modello, anzi, viene qui acriticamente esaltato a discapito di ogni ipotesi di sovvertimento dell’ordine costituito e addirittura a costo di lasciare sul terreno morti e feriti, anche tra gli spettatori.

La citazione: «Non ti sto seguendo, Claire. Abito alla porta accanto».

 

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