
Una scena dal film BELLUSCONE – UNA STORIA SICILIANA
di Francesco Torre
BELLUSCONE – UNA STORIA SICILIANA
Regia di Franco Maresco, con Tatti Sanguineti.
Italia 2014, 95’.
Distribuzione: Parthenos.
Una confessione d’impotenza o un definitivo quanto esasperato atto di solipsistica autoesaltazione? Opera complessa e stratificata, Belluscone – Una storia siciliana si presenta dichiaratamente sin dal suo incipit come l’ennesima immersione pop di Franco Maresco nei territori della riflessione filosofica e semiologica sul linguaggio cinematografico.
Almeno quattro le linee narrative che è possibile individuare nella tortuosa, atemporale, dispersiva, lacerata e lacerante struttura del film: da un lato l’inchiesta sui legami tra Silvio Berlusconi, la mafia e la Sicilia e l’esplorazione del fenomeno dei cantanti neomelodici e delle feste di piazza; dall’altro il racconto metacinematografico sui problemi produttivi del film e l’indagine “wellesiana” di Tatti Sanguineti alla ricerca del regista misteriosamente scomparso.
Deleuze in versione Bignami. Le “immagini cristallo” di Maresco creano un mondo che non interroga la realtà rappresentandola secondo le leggi della verosimiglianza, ma tramite exempla visivi costitutivamente falsi e tuttavia potenzialmente in grado di indagare a fondo il reale e il pensiero.
Chi è in cerca di inediti e succulenti aneddoti sui legami tra Berlusconi e mafia è dunque pregato di guardare altrove. Qui, privando il film di un baricentro narrativo ed estetico, Franco Maresco – con la consueta, irriverente ed a tratti intollerabile (presunta) superiorità morale e culturale – compone una sinfonia politico-mafiosa su Palermo le cui note risuonano allo stesso tempo come una messa da requiem per il cinema. A Belluscone, infatti, il regista sembra affidare – come Godard a Cannes con l’ultimo film – il suo personale “Adieu au langage”.
La citazione: “Caro Franco, mi spiace non averti incontrato. Ti avrei suggerito un titolo per questo film, “Il colpo di grazia”… quello che hai sempre sognato di assestare ma non ci sei mai riuscito”.