ADALINE – L’ETERNA GIOVINEZZA

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Una scena dal film ADALINE – L’ETERNA GIOVINEZZA

di Francesco Torre

ADALINE – L’ETERNA GIOVINEZZA

Regia di Lee Toland Krieger. Con Blake Lively (Adaline), Michiel Huisman (Ellis), Harrison Ford (William), Ellen Burstyn (Flemming).
Usa 2015, 109’.

Distribuzione: Eagle Pictures.

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Una fiaba moderna e un canto d’amore per San Francisco. Su queste due direttrici, il film – che sembra oggettivamente costruito per riconfigurare la carriera di Blake Lively, già protagonista della serie tv Gossip Girl e modella contesa dalle maggiori firme internazionali – costruisce la propria identità viaggiando attraverso un territorio accidentato e pieno di insidie: la linea di confine, cioè, tra il fantasy e il melodramma.
Nata nel 1908 nella città del Golden Gate Bridge, Adaline Bowman è vittima nel 1937 di un incidente d’auto e successivamente di un fulmine. Il combinato disposto di questi due elementi muterà la sua struttura cellulare rendendola incapace di invecchiare. Il suo aspetto perennemente giovanile, però, ben presto si scontrerà con i documenti ufficiali, finendo per generare addirittura i sospetti dei servizi segreti. Madre vedova, Adaline sceglierà allora di fuggire dagli Stati Uniti e cambiare identità, mantenendo solo con la figlia Flemming un rapporto a distanza. Il suo ritorno a San Francisco avverrà ai giorni nostri e qui, sotto le mentite spoglie di Jennifer Larson, bibliotecaria, si innamorerà del giovane magnate hi-tech Ellis Jones, iniziando contro il suo buon senso una relazione sentimentale che prevedibilmente rappresenterà per la donna l’occasione per riappropriarsi di una condizione esistenziale più autentica.
Il tormento dell’immortalità, l’orrore inevitabile nel guardare le persone amate ammalarsi e morire, la terribile condizione di una solitudine eterna. Questi i temi sottintesi e mai opportunamente trattati di un plot che invece, senza coraggio, evitando di trascinare lo spettatore nell’incubo meraviglioso della protagonista, vira quasi immediatamente verso il melodramma, derubricando il tragico dissidio interiore di Adaline a un’ordinaria contrapposizione tra ragione e sentimento.
Tanti davvero i punti oscuri della trama, nonostante gli sceneggiatori lavorino molto duramente per rendere plausibili tutti i dettagli dell’intricata vicenda. Il marito di Adaline, per esempio, è presenza fugace ed incomprensibilmente anonima: presentato nel primo atto come un eroe romantico piccolo-borghese, viene liquidato in fretta e furia e nel silenzio più totale sia dal film che dalla memoria della moglie e della figlia. Per giustificare l’indipendenza economica della donna in 100 anni e passa di vita, poi, ecco incollata tra un ricordo e l’altro una breve sequenza che mostra Adaline investire del denaro – senza cognizione alcuna di finanza e mercati – nella Xerox, che di lì a poco diventerà la più grande azienda produttrice di stampanti e fotocopiatrici. Infine, alquanto pedestre la soluzione scelta per mostrare al pubblico quanto un secolo di esperienza possa incidere sulla formazione di un individuo: Adaline è imbattibile a Trivial Pursuit e usa l’arte della deduzione meglio di Sherlock Holmes.
Tralasciando le oggettive debolezze dell’intreccio, il romanticismo di maniera, l’assurdità delle coincidenze della seconda parte (quando entra in gioco il personaggio interpretato da Harrison Ford), a condizionare molto pesantemente la buona riuscita del film sembra proprio la costruzione della figura protagonista. Se è vero, infatti, come i manuali americani di sceneggiatura ci hanno insegnato, che la storia è il protagonista, Adaline si presenta al pubblico come una figura debole, senza scheletri nell’armadio né pregresse ambizioni che il “superpotere” acquisito potrà assecondare (come tutti gli straordinari protagonisti delle saghe fantasy), ma nemmeno – in virtù della straordinaria bellezza ed eleganza di Blake Lively e delle non comuni qualità intellettive – la classica donna della provincia americana con cui sarebbe stato più semplice immedesimarsi. Non solo: del tutto priva di responsabilità sociale (mai sfiorata dal dubbio che, sì, sarebbe potuta diventare una cavia, ma forse la circostanza avrebbe potuto permettere chissà quali evoluzioni delle scienze mediche) e familiare (abbandona la figlia pur di non avere conseguenze sulla propria esistenza), Adaline attraversa un secolo di storia americana (e in particolar modo di San Francisco) senza lasciare un segno né venire segnata da alcun evento, e d’altra parte la trama stessa non suggerisce alcun arco di trasformazione. Uguale a se stessa, è come La Bella Addormentata, ibernata in un eterno presente, in attesa per 100 anni del bacio di vero amore. Che guarda caso, alla fine, ci sarà.

La citazione: «Sai cosa mi avrebbero fatto? Sarei diventata una cavia».

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