
Lucio Fontana, Concetto Spaziale, Attese, 1965 (Photo: Sotheby’s)
di Gianluca D’Andrea
Questa è un’immagine – non un testo – della memoria. Altro 25 aprile, altro.
Ritorno (?)
Ancora oggi? Per questo mi disoriento, ogni statistica giornaliera torna a zero, grandine, muoiono i tempi nelle ore di transito e perdo ogni giorno.
Nessuna foto? un poeta che legge alla festa del libro, oh liberazione, mentre la nazione festeggia per festeggiare, a passeggio, sono lette cose per gioco, per nessuno.
Le statistiche incombono su idee illusorie di crescite e nuovo sviluppo, quantità da ridistribuire in reti, in collegamenti da spedire attraverso contenitori automatici, numerosi.
La virtù è un ritorno continuo, un rimando, una crepa, mentre salgo (nello spazio, fuori del tempo), ah la Verna (sull’Adda)! che sia la fine di ogni pellegrinaggio è escluso nonostante le cataratte deflagrino in mani che emergono dai mari – ma il racconto, qui, finge la sua apocalissi.
Eppure la terra è statica in milioni di anni senza noi, ci raggiunge e vomita.
Sibilo della fine e resistenza, un filo che passa e non cuce questi laghi, la Val d’Aosta, il cammino che si sposta un po’ più in alto dei suoi passi, non reggo l’impercettibile inaderenza alle origini che chiama e frulla i ricordi.
O ritorno, o Beatrice che spieghi le lune al pellegrino, la mia navicella percepisce, ma alla lontana, il piccolo fruscio – sarà un boato? – della cascata.
Salgo.

Paradiso, Canto II. Dante and Beatrice observe the moon and Cancer
NOTE
Durante la composizione hanno agito due ricordi letterari:
La Verna di Dino Campana (cui si deve anche il titolo in riferimento al primo testo di quella sezione dei Canti orfici) e il secondo canto del Paradiso, in cui Beatrice prova a spiegare al pellegrino l’origine metafisica – o immaginifica – delle macchie lunari.
(Aprile 2015)