
Clemente Rebora
Dall’immagine tesa è l’ultimo testo dei Canti anonimi (1922) di Clemente Rebora. La forza manifestativa dell’immagine – l’immagine tesa che è insieme il volto, la presenza di chi sta in attesa, e ciò che nel campo del visibile si manifesta: l’immagine sonora del campanello, l’immagine spaziale delle quattro mura, germinano dalla tensione interna dell’immagine convocata in apertura e disegnano un trama ritmica battente, senza scampo. Quest’interrogazione del visibile quale spazio di transizione, di un attraversamento, come una frontiera in cui le cose possono lasciarsi vedere, non ci parla solo dell’esperienza religiosa di Rebora, ma ha più universalmente a che fare con la dialettica dell’immagine, la sua interna tensione, la sua forza sorgiva e feconda ambiguità.
Dall’immagine tesa
vigilo l’istante
con imminenza di attesa –
e non aspetto nessuno:
nell’ombra accesa
spio il campanello
che impercettibile spande
un polline di suono –
e non aspetto nessuno:
fra quattro mura
stupefatte di spazio
più che un deserto
non aspetto nessuno.
Ma deve venire,
verrà, se resisto
a sbocciare non visto,
verrà d’improvviso,
quando meno l’avverto.
Verrà quasi perdono
di quanto fa morire,
verrà a farmi certo
del suo e mio tesoro,
verrà come ristoro
delle mie e sue pene,
verrà, forse già viene
il suo bisbiglio.
Italo Testa
Clemente Rebora è nato a Milano nel 1885 da famiglia ligure, si laureò in Lettere con una tesi sul filosofo Gian Domenico Romagnosi. Insegnante e collaboratore della “Voce” di Prezzolini, pubblicò nel 1913 i Frammenti lirici, trascurati dalla critica.
Partecipò alla guerra sugli altopiani di Asiago e poi a Gorizia come ufficiale di fanteria, rimanendo molto turbato dalla violenza bellica.
Tornato dal fronte, ricominciò a insegnare, sempre più interessato a problemi religiosi e a un cristianesimo di tipo francescano. Nacquero in questo periodo le poesie raccolte in Canti anonimi (1922) e le traduzioni dal russo, tra cui spicca Il cappotto di Gogol’ (1922). Maturava intanto il suo riavvicinamento alla religione, fino alla conversione nel 1929 e all’ingresso nel convento rosminiano di Stresa nel 1931, dove venne ordinato sacerdote nel 1936.
Da sacerdote, Rebora cantò in versi la natura religiosa dell’esistenza; il suo stile rimane sostenuto da un’alta tensione poetica e morale, alla ricerca di una giustizia e di una pietà che non si trovavano in questo mondo, come dimostrano il Curriculum vitae (1955) e i Canti dell’infermità (1957). A lungo provato da una grave malattia, Rebora si spense a Stresa nel 1957.
La raccolta completa dei suoi versi è apparsa in edizione critica nel 1988. Di notevole importanza anche la raccolta delle Lettere, uscita nel 1982.