
Cappella degli Scrovegni (interno)
di Gianluca D’Andrea
Braccare lo spazio, Giotto
Questo gioco, quello della verità, ha come regola che il distinto, il determinato, il separato – l’individuo, la coscienza, il cucito, il punto a filo doppio – non si distingua più nel chiaro intrico del merletto, il quale, anch’esso, si mescola ai velluti o alla seta che orna e che ne sono lo sfondo.
Jean-Luc Nancy
Sono state vacanze rapide ma intense quelle di Pasqua 2015. La micro-famiglia in 5 giorni è stata in 4 città. Nonostante le monellerie della piccola o, anzi, accompagnati dal ritmo, a volte estenuante ma vitale, del “teatro” educativo che si modifica tentando sempre nuovi approcci per diventare efficace, abbiamo braccato lo spazio, frazionando il tempo.
Istantanee e parole hanno fissato alcune sensazioni, ancorato il flusso, riportandolo al passato, rilanciando il futuro – come si diceva una volta – disturbando l’eterno presente.
Mi piace condividere con voi immagini e versi perché strategicamente si fondono in un unico metodo che salvaguarda lo “spazio” (il mondo, se volete) soffermandosi, solo per istanti è vero, sulla sua implacabile trasformazione.
Restiamo all’erta, la caccia e il desiderio sono la spinta per captare e “proteggere” la mutevolezza.

Trieste
Trieste, Lubiana
Nella sintesi i nomi romani
scompaiono con la luce magmatica
dei secoli. Odore di crauti sul fiume
e, in cerca dell’odore, il nostro
dimorare padano annusa l’ombra
marina. Illude Trieste, non vede –
Saba, Cattafi – il novecento morto
nell’assimilazione presente.
Topografia e conformazione nascoste
nella memoria, carsica, inavvistabile.
C’era Roma, l’Austria, la Jugoslavia,
ora un’altra stellina
in moneta risuona d’ordine
neoslavo, altre lingue si mischiano,
altre facce. Mia figlia urla
per le strade, dal castello,
i salici piegati sul fiume, le bandiere ondeggiano.

Lubiana: Salici piegati sul fiume
Cane nero, Padova
Camminavamo per quei portici
brulicanti, strato su strato la storia
e la notte che si appressa.
Dentro i passi e le ruote del passeggino
ticchettano i selciati, le pietre,
Scrovegni e Gattamelata
frugano, ombre, la mia memoria,
desiderio e freschezza nel passato,
in un sogno-immagine e rami
e rami, sempre rami in città.
D’un tratto, in fondo,
un cane nero, tarkovskiano,
spunta di sbieco, al guinzaglio.
Il navigatore prosegue la sua rotta.

Padova: Sempre rami in città
Venezia, Cina, Ucraina
Reticoli di autostrade e voli,
pensavo al doge, alle rotte,
a precedenti più faticosi incroci.
Entrammo in un parco a tema
dove la laguna veneta e l’Adriatico
inacidiscono in cibi approntati
da mani ucraine per dirigenze
cinesi che acquistano in contanti
un monopolio in espansione.
Come le calli prima
della Piazza gerarchica,
ispirata da troppe Bisanzio.

Venezia: San Marco

Venezia: Bambini e pallone
Ma prima del ritorno – in ogni viaggio s’intuiscono prospettive ma non si fissano quadri, ecco perché lo spazio è in tensione: da un lato l’apertura al diverso, dall’altro l’ancoraggio al passato, la radice non può essere braccata ma circondata e protetta, l’albero è solo i rami, i rami, reticolati il cui sfondo dall’azzurro dorato di quest’inizio primavera si trasforma nel bianco venato di grigio, nubi fratte, nubifragio di linee, di visuali in fuga, dirette a un orientamento senza scopo, senza nostalgia – si verifica un ultimo spostamento.
L’entrata alla Cappella degli Scrovegni va prenotata su internet almeno 72 ore prima della visita. Naturalmente non ne sapevo nulla così fummo costretti a rinunciare alla vista “dal vivo” di quel monumento d’arte incommensurabile. Comprai un opuscolo illustrato con particolari della Cappella. Mi dibattevo, però, nella delusione, per aver mancato un impegno urgentissimo, l’occasione di manifestare il mio rispetto per l’arte del maestro fiorentino. Giotto si dibatteva per trovare uno spazio, inventò prospettive “istintuali” perché il desiderio d’orientamento, l’inserimento di figure “vive” nei loro gesti quotidiani all’interno di uno schema iconico in cerca di simmetria e monumentalità, spezza la forma: lo spazio si rigenera realizzandosi nell’imperfezione della banalità dei gesti. Il passaggio dal luogo vivo al “textum”, al volume che intreccia e raffigura, si “eterna”, si fa stasi nel cammino, dimora che accede, involontariamente, al ritorno.
(Aprile 2015)