Per il fine settimana – Domenico Cipriano suggerisce Leonardo Sinisgalli

civetta

Una civetta nella neve a Essen, 2013, © Copyright ANSA – Tutti i diritti riservati

“SIAMO LEGATI” brevi note su LEONARDO SINISGALLI

Leonardo Sinisgalli: il “poeta-ingegnere”. Forse proprio questa etichetta ha ridimensionato, col tempo, una delle figure più complesse della poesia italiana, come ha sostenuto giustamente anche Giovanni Giudici. Una definizione, tuttavia, che coglie i due aspetti principali di un percorso che cerca di unire, in anticipo sui tempi, le due anime della cultura: quella scientifica e quella umanistica.

La sua infanzia spensierata nel piccolo paese di Montemurro, in provincia di Potenza, rimarrà nella sua poesia, e alcuni elementi, come gli affetti familiari – i genitori in primis – e l’amore per la terra natìa si riallacciano ai temi ricorrenti nella poesia sul Sud dell’Appennino. Ma nei suoi testi, Sinisgalli, ci lascia immagini chiare e nitide istantanee della quotidianità, con un linguaggio che si affida a chiusure epigrammatiche degli enunciati, o forme più prosastiche, evitando una forzata elegia propria del neorealismo dei suoi contemporanei, e la retorica spesso presente negli epigoni degli anni successivi. Di certo, su questo incide anche il senso geometrico delle cose che gli permette di creare armonia nei suoi bozzetti di vita, nei suoi aforismi e in tanti versi fulminei; sintomi e segni di un’antica e moderna saggezza. Inoltre, colpiscono l’estrema essenzialità e la pulizia del verso, laddove viene esaltato il candore di una terra irrimediabilmente perduta e quella dismisura del tedio che fa ritrovare il nostro essere in una posizione di “controvento”. Nella poetica troviamo eventi e figure, paesaggi e oggetti come se fossero depositati in un grande vuoto, assenze che però reclamano la tenerezza di una presenza.

I luoghi per Sinisgalli, come già per altri poeti del suo tempo, sono importanti e la Lucania resta il suo precipuo riferimento: in primo piano, come accade nelle poesie degli esordi; o come sfondo, come avviene successivamente. Comunque sempre si tratta di un canto originale che, pur volendolo assimilare alle poetiche di un Pavese, di uno Scotellaro o di un Fenoglio, offre una tensione lirica del tutto particolare.
E i luoghi saranno presenti anche nella maturità, quando si ritroverà in città come Milano, Torino e Roma. Sono proprio queste realtà cittadine a presentare le occasioni di conoscenze, amicizie nel mondo dell’arte, oltre ad occasioni di lavoro che gli permetteranno di vivacizzare la sua ingegnosa visione delle cose, in particolare confluite nell’ attività pubblicistica o nella nascita di riviste di rilievo. Lavora, tra l’altro, alla Olivetti, alla Pirelli, alla Finmeccanica, all’Agip, e noti slogan pubblicitari sono di sua creazione, spesso attesi e annunciati dai media per la loro originalità.

Tornando alla poesia, l’altro elemento che la caratterizza, viene proprio dalla sua conoscenza scientifica, così la sua singolare sperimentazione mette in relazione la scienza con l’arte (un genere molto diffuso nella poesia dei nostri giorni) a cui accosta anche l’elemento fantastico o scherzoso, affidandolo a soluzioni ritmico-fonetiche molto ricche. Si ricorda, come esempio, la poesia Il vuoto di Pascal, qui inclusa, che fa riferimento alla scoperta del vuoto del 1647, cui Pascal dedicò un trattato.

E, ancora, le figure di animali sono da richiamiare per originalità e significato. In particolare gli insetti, come nel caso della “mosca”, che è stata anche interpretata come metafora della poesia stessa, come lo stesso autore ha fatto intendere in un suo scritto.

Tutti elementi che gli fecero superare l’ermetismo, a cui fu accostato all’inizio del suo percorso poetico, pur se accomunato dall’elemento “meridionale” soprattutto a Gatto, Quasimodo e Libero De Libero, anche se permane la sua vena crepuscolare, maggiormente colta in quei passaggi dove emergono: il sentimento del nulla, la vocazione all’infelicità e la predisposizione al mistero.

Domenico Cipriano

(Fonte video: Fondazione Leonardo Sinisgalli)

Poesie di Leonardo Sinisgalli

A MIO PADRE

L’uomo rimasto solo
a tarda sera nella vigna
scuote le rape nella vasca,
sbuca dal viottolo con la paglia
macchiata di verderame.
L’uomo che porta così fresco
terriccio sulle scarpe, odore
di fresca sera nei vestiti
si ferma a una fonte, parla
con l’ortolano che sradica i finocchi.

È un uomo, un piccolo uomo
che io guardo di lontano:
è un punto vivo all’orizzonte.

Forse la sua pupilla
si accende questa sera
accanto alla peschiera
dove si bagna la fronte.

*

LA VIGNA VECCHIA

Mi sono seduto per terra
accanto al pagliaio della vigna vecchia.
I fanciulli strappano le noci
dai rami, le schiacciano tra due pietre.
lo mi concio le mani di acido verde,
mi godo l’aria dal fondo degli alberi.

*

IN MEMORIA

Ci dividiamo le lenzuala
e le noci contro la luce delle montagne
noi figli ricongiunti da una data.
Gonfi di pianto entro la camera muta
Ricordiamo i vostri sudori e le tossi,
affondiamo le teste nelle casse
e a strati ritroviamo le nostre reliquie,
i teneri pegni, i fossili fiori.

*

NELLA MIA STANZA COME SOPRA UN ATLANTE

Nella mia stanza come sopra un atlante
ho cercato i tuoi mari e i tuoi monti.
T’ho attratta con un crine,
t’ho estinta con un soffio.
Ho resistito ai tuoi vortici, alle piene
improvvise, ai letargici inganni.
Per lungo giro di anni
tra le rughe e gli specchi,
nella spoglia di un fiore,
sul lobo di un orecchio,
dove esita la sfera,
dove il filo si spezza.

*

LA VISITA DI PASCAL

Pascal venne col solleone
a casa nostra
in sembianza di lattaio.
Non c’era la bottiglia.
E fece scivolare
sotto la porta di servizio
un breve saluto
scritto con un mozzicone di matita:
“Non ò trovato il vuoto”.

*

DA: TRE POESIE D’AMORE

1.

Chi ama non riconosce, non ricorda,
trova oscuro ogni pensiero,
è straniero a ogni evento.
Mi sono accorto più tardi
di tutti gli anni che l’aria
sul colle è già più leggera,
l’erba è tiepida di fermenti.
Dovevo arrivare così tardi
a non sentire più spaventi,
pestare aride stoppie, raspare
secche murate, coprire la noia
come uno specchio col fiato.
Sono un uccello prigioniero
in una gabbia d’oro. La selva
variopinta è senza colore per me.
L’anima s’è trovata la sua stanza
intorno a te.

*

LUCANIA

Al pellegrino che s’affaccia ai suoi valichi,
a chi scende per la stretta degli Alburni
o fa il cammino delle pecore lungo le coste della Serra,
al nibbio che rompe il filo dell’orizzonte
con un rettile negli artigli, all’emigrante, al soldato,
a chi torna dai santuari o dall’esilio, a chi dorme
negli ovili, al pastore, al mezzadro, al mercante
la Lucania apre le sue lande,
le sue valli dove i fiumi scorrono lenti
come fiumi di polvere.
Lo spirito del silenzio sta nei luoghi
della mia dolorosa provincia. Da Elea a Metaponto,
sofistico e d’oro, problematico e sottile,
divora l’olio nelle chiese, mette il cappuccio
nelle case, fa il monaco nelle grotte, cresce
con l’erba alle soglie dei vecchi paesi franati.

Il sole sbieco sui lauri, il sole buono
con le grandi corna, l’odorosa palato,
il sole avido di bambini, eccolo per le piazze!
Ha il passo pigro del bue, e sull’erba
sulle selci lascia le grandi chiazze
zeppe di larve.
Terra di mamme grasse, di padri scuri
e lustri come scheletri, piena di galli
e di cani, di boschi e di calcare, terra
magra dove il grano cresce a stento
(carosella, granturco, granofino)
e il vino non è squillante (menta
dell’Agri, basilico del Basento)
e l’uliva ha il gusto dell’oblio,
il sapore del pianto.

In un’aria vulcanica, fortemente accensibile,
gli alberi respirano con un palpito inconsueto;
le querce ingrossano i ceppi con la sostanza del cielo.
Cumuli di macerie restano intatte per secoli:
nessuno rivolta una pietra per non inorridire.
Sotto ogni pietra, dico, ha l’inferno il suo ombelico.
Solo un ragazzo può sporgersi agli orli
dell’abisso per cogliere il nettare
tra i cespi brulicanti di zanzare
e di tarantole.

Io tornerò vivo sotto le tue piogge rosse.
tornerò senza colpe a battere il tamburo,
a legare il mulo alla porta,
a raccogliere lumache negli orti.
Udrò fumare le stoppie, le sterpaie,
le fosse, udrò il merlo cantare
sotto i letti, udrò la gatta
cantare sui sepolcri?

*

SIAMO LEGATI

Siamo legati
dalla miseria della vita.
Ci parliamo piegandoci controvento.

*

BREVE STORIA

Piovve tutto l’inverno quell’anno
di scuola, di chiesa, di cortile.
A quell’età bisognava morire.

*

NESSUNO PIÙ MI CONSOLA

Nessuno più mi consola, madre mia.
Il tuo grido non arriva fino a me
neppure in sogno. Non arriva una piuma
del tuo nido su questa riva.

Le sere azzurre sei tu
che aspetti i muli sulla porta
e avvolgi le mani nei panni,
leggi nel fuoco le risse
che disperdono i tuoi figli
ai margini delle città?

Un abisso ci separa, una fiumana
che scorre tra argini alti di fumo.
Sono queste le tue stelle,
è il vento della terra
è la nostra speranza
questo cielo che accoglie le tue pene,
la tua volontà, la tua domanda di pace?

Tu vivi certa della tua virtù:
hai vestito i cadaveri variopinti
dei padri, hai trovato ogni notte
la chiave dei nostri sogni,
hai dato il grano per la memoria dei morti.

Noi aspettiamo il tuo segnale
sulla torre più alta.
Tu ci chiami. Sei tu
la fiamma bianca all’orizzonte?
Un’estate di lutti
ha rimosso nel ventre le antiche colpe,
ha cacciato i lupi sotto le mura dei paesi.
I cani latrano al sole di mezzogiorno,
la civetta chiede ostaggi per il lugubre inverno.

Tu ascolti, madre mia,
il pianto sconsolato delle Ombre
che non trovano requie
sotto le pietre battute
dal tonfo di fradici frutti.

*

PIANTO ANTICO

I vecchi hanno il pianto facile.
In pieno meriggio
in un nascondiglio della casa vuota
scoppiano in lacrime seduti.
Li coglie di sorpresa
una disperazione infinita.
Portano alle labbra uno spicchio
secco di pera, la polpa
di un fico cotto sulle tegole.
Anche un sorso d’acqua
può spegnere una crisi
e la visita di una lumachina.

*

EX-VOTO

I vecchi non sanno a chi parlare
dei figli lontani,
si sfogano coi poveri
che vanno e vengono per casa.
Mia nonna consegna ogni domenica
una puparella di pane
a ciascuna delle sue fide mendiche.
Nomina Caietano
Iacinto Romualdo Peppe
Antonio: li vede sempre in pericolo
tra i coccodrilli del Maddalena.
Le visitatrici si portano via le sue lacrime
e una fetta di lardo.

*

POESIA PER UNA MOSCA

Della tua ala laboriosa
Si consolano i vespri delusi
Se pure senza pudore tu abusi
Dell’innocenza d’una rosa.
Nel tuo tremore si riposa
La mia noia; fiduciosa
Ronza attorno a un’immagine chiusa
La pazienza è forse rischiosa
Ché talvolta si spegne un fiore
Nella notte e il fradicio odore
Ti eccita curiosa.
Ma susciti dentro la stanza
L’aria di tanta vacanza
Amica pungente e pia.
Così cara è la tua molestia
Che stasera con me ti fa festa
La mia efimera poesia.

*

A CASA MIA

A casa mia si parla
con le mosche si vive
in compagnia delle mosche
d’inverno e d’estate
dov’è la mosca
come sta la mosca
è sparita la mosca
si grida quando si ritorna.

*

LA CIVETTA DELLA NEVE

Vengono anch’essi a scaldarsi
accanto al camino i vecchi Dei.
Viene intirizzita a chiederci asilo
la civetta della neve.


 

leonardo_sinisgalli

Leonardo Sinisgalli

Leonardo Sinisgalli è nato a Montemurro (Potenza) nel 1908 e morto a Roma nel 1981. Laureato in Ingegneria nel 1932, si è presto legato agli ambienti poetici e figurativi della capitale, grazie soprattutto ai rapporti intrattenuti con Ungaretti e con Scipione. Trasferitosi a Milano, ha lavorato nel campo dell’architettura e del design industriale, prima di tornare a Roma per dirigere – tra il 1953 e il 1959 – la prestigiosa rivista della Finmeccanica “Civiltà della macchine”. Attento agli sviluppi del sapere scientifico, accanto a quelli della cultura umanistica, come poeta ha esordito – riscuotendo fin dai primi anni l’attenzione partecipe di critici quali De Robertis, Cecchi, Contini – con la silloge 18 poesie (Scheiwiller, Milano 1936); per poi giungere al rilevante Vidi le Muse (Mondadori, Milano 1943) e pubblicare successivamente I nuovi Campi Elisi (Mondadori, Milano 1947); La vigna vecchia (Mondadori, Milano 1952, II ed. accresciuta nel 1956); L’età della luna (Mondadori, Milano 1962); Il passero e il lebbroso (Mondadori, Milano 1970); Mosche in bottiglia (Mondadori, Milano 1975 – Premio Viareggio) e Dimenticatoio 1975-1978 (Mondadori, Milano 1978). Di rilievo, per la sua efficacia sintetica, è l’Oscar pure mondadoriano curato da Giuseppe Pontiggia nel 1974, con il titolo L’ellisse – Poesie 1932-1972. Infine, vanno citate le prose, suddivise grossomodo tra le competenze scientifiche (Furor mathematicus, 1967), la rievocazione memoriale (Prose di memoria e d’invenzione, 1974) e la passione per le arti figurative (La rosa di Gerico, 1969).

 

 

(Alberto Bertoni)

 

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