
Corrado Benigni (Foto di Viviana Nicodemo, 2014)
di Gianluca D’Andrea
Poeti italiani (5) – Spazio inediti: Corrado Benigni
Non sarà più così – distanza tolta dallo spazio –
per noi deciderà una luce inerme
arata dal destino, ma intanto
quale appello invocare a colui che non ritorna?
Chi legifera ha una bocca rapace
contumace nel bianco delle parole
che illumina chi si persuade.
(da Tribunale della mente, Interlinea, Novara, 2012)
La riflessione poetica di Corrado Benigni è ossessione linguistica che si basa sulle potenzialità etiche della parola. La semantica relazionale, la “comunione” dello strumento linguistico in quanto significante, è incenerita in una ricerca, quasi archeologica, del “codex”, della radice stessa di una “norma” che sia ancora condivisibile. Il linguaggio si raccoglie nella pratica-habitus di un segno monitorabile ma non per questo statico. In Tribunale della mente (la raccolta del 2012 in cui troviamo il testo qui presentato), un senso di sconsolato smarrimento intride la riflessione sull’”invocazione”, residuo di senso di una parola intesa come originaria (di uno status, di un habitus e, quindi, di una società). La chiamata attraverso quella «luce inerme», che appare nel secondo verso, è quasi il manifesto di una poetica “in levare”, per cui la fragilità del verbum è tutta la debolezza di un mondo in dissoluzione.
La protervia del segno che diventa “codice” è il messaggio che arriva dalla forza neutralizzante delle parole, nella loro dimensione ambivalente di senso/non senso, l’unico valore di una comunicazione che si fa coerente solo per chi «si persuade» della loro effettiva “significazione”.
Una fiducia ridotta all’osso, in una fase storica di mutamento antropologico la parola sembra trasformarsi in geroglifico (segno sacro e allo stesso tempo incomprensibile, quasi esclusivo perché escluso dal diverso mondo linguistico incipiente) di luce.
PIXEL
Come suoni nelle pietre le parole nascondono
luoghi e cellule, respiri e ore contate
che dicono chi siamo,
mentre tutto scorre in un atto di luce e rovina
attraversando il groviglio. Pixel di voci affiorano sulla pagina,
disegnano volti tra le lettere di un alfabeto perduto:
i bambini che sulle rive del Nilo vendono fossili,
Dike sul banco degli imputati, mio padre, Ulisse senza Itaca
in un’era glaciale.
Domani tutto sarà cancellato.
Ma la strada è una lingua che ci vede
e sotto la terra un bosco – immobile – aspetta di nascere.
(Inedito)
L’inedito richiama – in-voca? – la trasformazione emersa nel testo precedente, rendendola evidente. Si aggiunge come tappa di un’evoluzione linguistica che, dalle discendenze “normative” della condivisione verbale, accenna uno scarto di speranza nell’ineluttabilità della scomparsa.
Parole come «suoni nelle pietre» che fanno pensare al silicio, alla mineralizzazione della comunicazione di massa in un anfratto di pixel, di elementi disegnati nella luce, segni puntiformi di una nuova “visione”, aggrovigliata nel suo stesso mostrarsi. Ma cosa sarà questo nuovo segno, questa traccia geroglifica, appunto («i bambini che sulle rive del Nilo vendono fossili» ne rappresentano il richiamo lontano, archeologico, creando un ponte tra le epoche, comunque sia, una memoria), che sembra spingerci all’estinzione ma non nega una plausibile rinascita?
Nessuna risposta in nessun luogo, oppure qualcosa balugina nella stessa possibilità di cancellazione del segno. L’impronta è sempre la “lingua”, la manifestazione di «un atto di luce», il groviglio di segni, la “selva” che sempre e sempre «aspetta di nascere», malgrado noi, strumenti della sua legge.
(Marzo 2015)
Corrado Benigni è nato nel 1975 a Bergamo, dove vive. Ha pubblicato nel 2012 il libro di poesie Tribunale della mente (Interlinea); nel 2010 la sua silloge Giustizia è stata inclusa nel Decimo Quaderno italiano (Marcos y Marcos, a cura di Franco Buffoni); del 2005 è la sua prima raccolta in versi: Alfabeto di cenere (Lietocolle).