“L’allenatore" di Salvatore Bruno – a cura di Daniele Greco

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Salvatore Bruno

di Daniele Greco

L’allenatore di Salvatore Bruno
Un ricordo dell’autore di un unico romanzo, che moriva il 18 marzo del 2001

lallenatoreChi provi a leggere i titoli di alcune tra le prime recensioni all’unico romanzo pubblicato da Salvatore Bruno, L’allenatore, potrebbe restare spiazzato: La Juve strizza l’occhio a Joyce, I bocconi amari dell’allenatore, L’amaro allenatore del pugliese scontroso, L’allenatore non è un romanzo sportivo, L’allenatore amoroso, L’immagine di un Narciso moderno, sono titoli che lasciano presagire qualcosa di non ben definito, un singolare oggetto narrativo che nel 1963, l’anno della neoavanguardia del Gruppo 63, inaugura la collana “Nuovi narratori” per Vallecchi, a cura di Cesare Garboli e Geno Pampaloni.
Colui che risulta decisivo per l’uscita del romanzo è Romano Bilenchi, che conosce Bruno da anni, sa che questi era al lavoro ad un libro, e lo convince a pubblicare dopo che Bruno aveva rifiutato la proposta di Niccolò Gallo e Mondadori.
Nato a Presicce (in provincia di Lecce) nel 1923, Bruno lascia presto la sua terra, si trasferisce a Firenze dove studia nella facoltà di magistero, senza mai prendere la laurea, e collabora ad alcune riviste del Guf locale, come “Rivoluzione”. Finita la guerra segue Bilenchi al “Nuovo Corriere” e, una volta che il giornale viene chiuso dal PCI, Bruno va a lavorare per un breve periodo a Milano dove collabora a dei rotocalchi popolari sui quali, come avrebbe detto più volte allo stesso Bilenchi, scrive “coglionate a getto continuo”.
Ma il suo destino di giornalista si compie a Roma, la città dove vive più a lungo, in una mansarda a due passi da piazza del Popolo. Qui, attorno alla neonata redazione de “L’Espresso”, nel 1955 inizia a scrivere reportage, articoli di costume, di cronaca, ma soprattutto articoli di sport. Da “L’Espresso” passa a “Il Gatto Selvatico”, il periodico dell’Eni allora diretto niente meno che dal poeta Attilio Bertolucci, e qui redige decine di pezzi col proprio nome di battesimo e con lo pseudonimo di Romano Salvadori – un omaggio evidente al suo mentore Bilenchi.
Bruno da giornalista sportivo è curioso e colto, un lettore onnivoro e vorace che non è appassionato solo di tecnica e tattica ma anche dei rapporti profondi tra lo sport e le masse. E proprio da questa fucina intellettuale egli trae il romanzo di una vita, dopo il quale avrebbe scritto sempre meno, sino a far perdere le proprie tracce alla metà degli anni sessanta.
Nei cinque capitoli de L’allenatore si racconta la vicenda di un uomo che di mestiere fa il giornalista, vive a Roma, è originario di Presicce, si mostra sicuro di sé, fiero, intransigente e ha come tratto distintivo quello di amare la Juventus fino al parossismo. La ama a tal punto che la signora bianconera è l’unica sua realtà sentimentale mentre le donne, alle quali si concede nei periodi in cui i bianconeri sono in disgrazia, sono il transfert di una passione cieca e irrazionale.
Dietro questo ritratto così fortemente autobiografico, Bruno cela l’immagine paradigmatica di un sedicente scrittore e intellettuale, di un sedicente seduttore che tenta di possedere senza essere posseduto, ma che riuscirà al massimo ad allenare le donne degli altri, come avviene nel romanzo nei confronti di Elisabetta, la moglie del suo amico Amleto.
Nella finzione dell’opera siamo al campionato di calcio ‘61-’62, uno dei peggiori per la Juve che chiude mestamente al 12° posto, dopo i fasti delle stagioni di Charles, Sivori e Boniperti. L’uomo, tradito dalla vecchia signora, accetta senza troppo entusiasmo la corte petulante e snervante di Elisabetta che viene messa sulla pagina attraverso dei lunghissimi periodi, per lo più privi di punteggiatura. Bruno fa la parodia dello stile joyceano di Molly Boom nell’Ulisse e attraverso la voce di Elisabetta e del coro di voci – Enzo Siciliano lo chiamò un “coagulo di molteplici parlati” – redige un testo che egli stesso definisce un “monologo esteriore”.
I tratti autobiografici del romanzo sono evidenti e servono all’autore per compiere un’opera che ritrae in maniera fedele i miti di massa del suo tempo, quali il calcio e l’adulterio, usando un alter ego che si lascia colpire e offendere al fine di mostrare il sottosuolo di bassezze di cui si è capaci quando si confonde la vita vera con i suoi surrogati, quando si crede di bastare a sé stessi, senza tenere conto di come poco alla volta il proprio smisurato ego sia destinato a venire demolito.
Per questa via, dietro lo stile che tenta di realizzare la tabula rasa dei dettami sperimentalistici di quegli anni, si scorge una partitura classica che guarda al Dostoevskij delle Memorie del sottosuolo, al Tolstoj de La sonata a Kreutzer e, infine, a un testo di Albert Camus, che Bruno avrebbe dimostrato di conoscere a fondo, La caduta.
Bruno torna a vivere tra Presicce e Lecce, dove muore in una clinica privata il 18 marzo del 2001. Dopo quarant’anni L’allenatore viene ripubblicato da Baldini & Castoldi grazie a Massimo Raffaeli, che ne cura la pregevole introduzione e a partire da questa data il libro trova nuovi lettori per i quali il libro diventa subito un piccolo classico del secondo novecento che a distanza di cinquant’anni non ha perso affatto la freschezza e l’originalità di quell’inizio di anni sessanta.
Il sottoscritto, che ha recuperato centinaia di scritti di Bruno, editi e inediti, recensioni al suo romanzo, carteggi con importanti scrittori e critici continua a credere che da qualche parte prima o poi ci sia un editore interessato a pubblicare una parte di questa cospicua produzione narrativa o in alternativa la sua biografia che è pronta ormai da un paio d’anni e attende solo di vedere la luce, meglio se non a spese dell’autore come si usa di questi tempi.

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