Per il fine settimana (omaggio alla pianura) – Philippe Jaccottet

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Colli Euganei

Philippe Jaccottet – da Libretto, Scheiwiller, Milano 1995

Trad. di Fabio Pusterla

librettoDalla pianura del Po

Adesso, la dogana severa delle montagne è ormai scordata: non sono null’altro che una fumata di profumi, d’incenso, specchi velati eretti sopra zoccoli di bruma.
I pioppi, giallognoli o fulvi (dipende dagli anni, dalla loro varietà?), parlano piano attorno ai prati brillanti che delimitano, e l’aria prende i colori dell’iride.
Questa perpetua vibrazione delle foglie catturate da una leggera bruma: davvero è solo un caso, o non è forse qualcosa che in tal modo ci viene suggerito? Se non di dar loro risposta, almeno di saper vedere (ed è come un soffio di freschezza che ci ravviva un istante, un ruscello di foglie), intanto che altre, quelle vere, più furtive, si sono risvegliate anch’esse in ogni dove, brillano anch’esse, moltiplicano la luce senza peso di marzo o d’aprile.
Mi sorprendo a preferire questa pianura a quasi ogni altro paesaggio d’Italia di cui mi rammento.
Vasti recinti che le loro alte barriere non chiudono, proprio come le parole, non oscurando la pagina, collaborano a svegliarvi, o magari a stirarvisi, una figura sconosciuta.

Dalla pianura del Po, verso Bologna

Il giorno declina, il sole è dietro di noi. Un’ombra di fatica si annuncia, in cui si precisano miraggi di cibo: tutta la bellezza del mondo non ci farà saggi o angeli. Perché non siamo soli a scivolare su questo celeste pendio, perché è necessario questo vociferante, rischioso traffico di città in città, e come è possibile che qui si dia accesso a tanti rozzi stranieri? C’è forse qualcuno che sappia apprezzare, amare questo paese come noi? (Così questo principio di stanchezza suscita inezie deliranti).
Ma, rispondendo alle pergole nude di val d’Aosta, ecco i frutteti d’Emilia, già sfioriti alcuni, questi grovigli di legno tra bruno, grigio e rosa che accoglieranno, sospeso alle loro corde, ogni frutto delle Georgiche. E sulla nostra destra, da qualche tempo succede qualcosa; la pianura produce, come un vapore azzurro, delle colline, proprio nel modo in cui il sogno può a volte generare una dormiente inaccessibile: i Colli Euganei. Le fattorie hanno il colore del sangue di porco e il nobile equilibrio dei palazzi. Tra i loro pilastri squadrati si ammucchiano i lingotti della paglia.

(Là, dunque, il nostro preludio, ad ogni annuncio di primavera, ancora fresco, suonato da flauti di madreperla e spinette dorate, strumenti che forse noi soli ascoltavamo, rapidi, accompagnati da tutta l’orchestra invisibile dell’aria, al nostro servizio.
Prime battute d’argento, di bruma e di giada).


 

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Philippe Jaccottet. Photo: J. Sass © (2003)

Philippe Jaccottet (Moudon, 30 giugno 1925) è un poeta, traduttore e critico letterario svizzero. Dopo gli studi in lettere all’università di Losanna, ha vissuto a Parigi per un breve periodo, lavorando come corrispondente dell’editore Mermod. Nel 1953 si è stabilito a Grignan, nel Sud della Francia, con la moglie pittrice.
Traduttore in francese dal greco (Odissea), dal tedesco (Goethe, Hölderlin, Rilke, l’opera omnia di Robert Musil), dall’italiano (Leopardi, Carlo Cassola, Giuseppe Ungaretti, Giovanni Raboni) e dallo spagnolo (Góngora).
È oggi considerato uno dei maggiori poeti europei, più volte candidato al Premio Nobel, autore di un’opera dal lirismo asciutto, che interroga la natura, la morte, l’essere al mondo con bisogno preoccupato di rigore etico. Oltre all’opera poetica, ha pubblicato numerosi volumi in prosa, diari, riflessioni sulla poesia e sulla traduzione ed è autore di acuti articoli di critica sulla poesia francese.

 

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