
Una scena dal film AMERICAN SNIPER
di Francesco Torre
AMERICAN SNIPER
Regia di Clint Eastwood. Con Bradley Cooper (Chris), Sienna Miller (Taya Renae).
Usa 2014, 134’.
Distribuzione: Warner Bros.
Sguardo dritto sull’azione, con rare concessioni allo spettacolo estetizzante della guerra e alla soggettivazione delle immagini, l’ultimo film di Clint Eastwood sembra rifarsi dal punto di vista estetico e linguistico a modelli cinematografici abbastanza lontani dal suo consueto stile neoclassico. Ma se la messinscena tradisce ambizioni naturalistiche e antiretoriche (rimandando agli esempi di Kathryn Bigelow o di Paul Greengrass), pure la struttura drammatica utilizzata per tradurre sullo schermo la vera avventura umana di Chris Kyle – cecchino soprannominato “The Legend” per aver ucciso in Iraq 160 nemici accreditati e morto negli States per mano di un reduce di guerra con disturbo post-traumatico da stress – sembra corrosa da fondamentalismo ideologico e costruita secondo i più convenzionali schemi della tragedia contemporanea: la rappresentazione del mito fondatore (l’infanzia, la rigida schematizzazione sociale impartita dal padre, il primo approccio col fucile); la consapevolezza di responsabilità superiori (la difesa della patria) e di doti straordinarie da mettere al servizio della causa; l’intima angoscia per un destino di sacrificio e rinunce; la fine violenta.
Bidimensionale e affrettato, il risultato esibito è la selezione antologica (ma senza analisi critica) della vita di un soldato (non così) semplice secondo il più classico dei paradigmi reazionari: “Dio, patria e famiglia”. Come già in Mystic River, però, il finale recupera con forza l’immagine della bandiera stars and stripes, abbandonando il profilo universale e laico dei significati per legare indissolubilmente l’avventura umana del protagonista al destino di una singola nazione. Un destino glorioso e tragico insieme, sembra suggerire Clint Eastwood, confermandosi portavoce di una prospettiva interventista qui peraltro teorizzata con la metafora zoologica, esposta dal padre di Chris Kyle quasi all’incipit del racconto, della suddivisione della società in «pecore, lupi e cani da pastore». Uno schema talmente statico e conformista da far tornare alla memoria le parole di un più fine pensatore partenopeo, il quale a chi gli chiedeva di scegliere tra “1 giorno da leoni e 100 da pecora” rispondeva: «Non si può fare 50 da orsacchiotto»?
La citazione: “E’ il paese più bello del mondo e farei di tutto per proteggerlo”.
Articolo pubblicato su “Il Quotidiano di Sicilia”, del 15.01.2015