
Fabio Pusterla
OSPEDALE DEL GIOCATTOLO
A Pio Fontana
I. Funicolare arrugginita
«Lungo la tratta splendevano ciclamini,
piccole braci ascendenti, impavide
nel frusciare di colubri e nel vento
della funicolare più scoscesa.
In basso, odore d’olio e d’alga, una fontana
quasi caverna scavata nel tufo, in cui scorrevano
le anguille sinuose, i barbi, le indifese
alborelle, dai riflessi argentati.
Più in là, la chiesa antica della peste,
i primi villini non si sa quanto abusivi,
talvolta qualche vipera, e poi il lago
a inabissarsi in gorghi, il vocìo di una festa,
e quel ronzare costante di vite e di vespe,
di giorni che passavano, di sussulti e di tregue.»
*
II. Carillon
«Senza saperlo si tentava qualcosa: ritornare
a vivere senza troppi pensieri, forse, dopo gli anni
inconfessati, persi nel fumo della storia. E un solo dovere:
abbandonarsi al flusso, alla vita.
Quello che si era rotto, il devastato
canto del tempo, roco o ammutolito. Tutte quelle
notti indicibili, e i morti: ora soltanto cose più leggere,
questa era la promessa. E roba nuova,
tanta. Poi la canzone si spegne si annoda
su se stessa, il dentino d’ottone si smangia,
e infine il rullo diventa un compressore,
il cilindro una bomba che esplode e che nega
ogni gioia. Ma chi ha rubato l’armonia, chi ha infranto
la promessa di gioia condivisa?»
*
III. Bambole
La prima bambola ha un’orbita cava,
con la sinistra, azzurra, fissa il vuoto,
tace e sorride mesta; l’altra, vaga,
non ha più gamba, un braccio pende immoto
come dopo uno strazio. Qui dilaga
una violenza cupa, odio remoto
di maschio non mai sazio, lama o clava
che fende e fruga grazia, nega e arrota
ogni dolcezza e fiore, ogni speranza
troppo ardua, troppo alta, troppo umana
e dunque insostenibile. La terza
canta ma senza voce, canta piano
per tutti. Per la luce e per la sferza
del male. Canta per chi l’ascolta, forse invano.
*
IV. Piccolo cavaliere rosso
Un cavaliere rosso
con un tratto d’argento sullo scudo,
alto sopra il cavallo
fremente, ardimentoso.
Ah, se questo bastasse
quando il dolore è più crudo,
la vita precipita a valle
rovinosa!
(Arsa a volte la messe,
ogni notte più rude,
le grida, nel silenzio delle celle,
tormentose.)
Un cavaliere: possa,
se mai il nero s’intruda nei tuoi giorni,
sfiorarti col guanto la spalla,
ricordarti la rosa.
Sull’erba rasa dei fossi
scivoli il vento, non strida;
la via lenta che sali verso i colli
ti chiami, luminosa.
*
V. Madrigale degli orsi
«Travolti i coniglietti
rimaniamo noi orsi,
noi, nella luce povera di corsi
e ricorsi piovosi.
Sogni di pezza siamo,
superstiti amici e restiamo
ora squarciati ora persi, pietosi
a vegliare nell’ombra.
Dall’incendio degli anni
per incubi e affanni,
quando solo un istante il cielo sgombra,
ci sentite ballare
nella foresta nera o in fondo al mare
la danza senza fine degli orsetti.»
*
VI. Gioco di società
Pedine senza testa pedoni rubati
caselle perfettamente scolorite,
ostacoli e dadi mancanti clessidre svuotate
non una cosa al suo posto istruzioni stracciate.
Tutto ripareremo
con pazienza con carità,
ma come e con chi giocheremo
se manca la società?
*
VII. Puzzle
Qui la montagna è forata, mostra il nero
di un cielo inesistente che sarebbe
dietro di lei e non c’è.
Un ramo è caduto nel nulla,
forse sfregiando un volto ora striato
come da cicatrice. Non si vede
la fonte della luce; pure un raggio
accende l’acqua chiara di un torrente
che balza e poi scompare.
Niente ci rassicura, tutto allude
all’ordine smarrito dell’immagine.
In basso, sulla destra, l’occhio glauco
di un piccolo animale forse guarda
come in una voragine.
Nota: Ospedale del giocattolo è il nome di un’iniziativa sociale e occupazionale creata nel 1995 a Lugano; si raccolgono giocattoli usati, la cui riparazione viene affidata a un gruppo di disoccupati; in seguito i giocattoli rimessi a nuovo saranno distribuiti, tramite associazioni e enti umanitari, a bambini bisognosi di paesi in difficoltà. Devo la segnalazione a Pio Fontana, cui questa serie è dedicata, per tante ragioni e amici comuni.
SU OSPEDALE DEL GIOCATTOLO: di Gianluca D’Andrea
La serie, che qui presentiamo, vive, in particolare nei primi testi, nel segno della riattivazione formale, non regolativa però, poiché l’utilizzo del sonetto va considerato solo con la cautela di chi annoti in un sistema concluso le deviazioni allo stesso schema formale. Occorre sottolineare questo aspetto perché sintomatico di una volontà “tensiva”, in estensione tra i margini della norma e del suo “oltrepassamento”; in buona sostanza, per Pusterla, la forma non è mai problema perché superata dalla spinta del miglioramento, sovrastata dalla materia verbale. La parola che ha l’unico dovere di emanciparsi dalla struttura in cui è inserita, nell’unico sforzo, il sacrificio in vista del senso. Ecco perché, ancora in questi testi, si può scorgere quello che Jean-Luc Nancy chiama «un sistema non […] finito né infinito, […] ciò che permette l’alternanza – o la simultaneità – della chiusura […] e dell’apertura» (J. L. Nancy, Il sistema, ieri e oggi, in Prendere la parola, Moretti&Vitali, Bergamo, 2014, pp. 162-163).
Sistema, dunque, nella continuità del recupero. Pellegrini i giocattoli che sono ospitati e rimessi in circolo dopo la cura, ricomposti nel tentativo, verrebbe da dire l’anelito, di abbracciare il bisogno e ristabilire il contatto, negli uomini, attraverso la riparazione dei loro strumenti. Leggendo Ospedale del giocattolo – proprio seguendo il movimento di recupero e ripristino esercitato dalla parola, oltre che dall’iniziativa sociale omonima – ho pensato alle riflessioni compiute da Walter Benjamin sull’infanzia e i giocattoli, in termini di “collusione” storica tra oggetti e persone, cioè al dialogo della società col suo sviluppo. La presenza del reperto è memoria, la quale può essere trasmessa, oltre che nel recupero, nella riattivazione dello stesso reperto. Questo tentativo di riattivazione, conserva il breve arco di tempo della sua realizzazione, per poi scomparire: il gesto della poesia vive esattamente questa dimensione liminare, tra utopia di conservazione e realizzazione della propria scomparsa: «Un bambino non è un Robinson e inoltre anche i bambini non sono parte di una comunità isolata, ma sono parte del popolo o della classe sociale a cui appartengono. Così anche il loro giocattolo non ha una vita totalmente autonoma, ma vive piuttosto in un dialogo silente, a segni, tra esso e il popolo» (W. Benjamin, Storia culturale del giocattolo, in Figure dell’infanzia – Educazione, letteratura, immaginario, a cura di F. Cappa e M. Negri, Raffaello Cortina, Milano, 2012, p. 163).
Rimettere in comune, utopia del recupero, ri-circolazione, ri-assemblaggio, ritornare alle condizioni di un sistema sempre sull’orlo della scomparsa. La poesia di Pusterla, ancora una volta dopo Corpo stellare, sembra annunciare un mondo che si manifesta nell’unica domanda, sempre costante, sulla sua possibile sparizione. Solo interrogandosi la parola può nominare e, così, non cedere nulla della sua emergenza ricreante: «Tutto ripareremo/ con pazienza con carità,/ ma come e con chi giocheremo/ se manca la società?».
Gianluca D’Andrea
(Luglio 2014)