Poeti italiani (2) – Spazio inediti: Laura Liberale

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Laura Liberale

di Gianluca D’Andrea

Poeti italiani (2) – Spazio inediti: Laura Liberale

Che cosa ti mostro io del cielo
puntandolo con la parola cielo?
Forse t’inscatolo a falde, tutt’insieme,
azzurri, grigi, arancioni, rosa,
lilla, viola, bianchi, neri,
nuvole, acqua, ghiaccio, neve,
venti, stelle, sole, luna, pianeti,
uccelli, lampi, tuoni, aerei ed eclissi?
T’insegno che nell’uno ci sta il molto
(e deve starci)?
Eppure a volte ho come l’impressione
che a dirla a te si riconquisti, la parola
si riconsegni a una necessità
perda la realtà di convenzione.
E se al tuo orecchio bisbiglio cielo
– sostando col respiro sul dittongo –
mi sembra che sia l’unica possibile
pienissima parola, straboccante.
La dico, guarda
e già ne sbuca fuori un uccellino
pronto al volo.

(da Sari (poesie per la figlia), Edizioni d’If, Napoli, 2009)


Il primo testo sfrutta appieno le potenzialità di trasmissione della parola. Suona, nell’andamento riflessivo e ondulante, una melodia in due tempi. L’inspirazione per accumulo della prima parte si coagula nelle interrogazioni ribadite, per cui la parola, indicando, preannuncia, pur nel dubbio, la propria possibilità di contenitore polisemico. Fino al verso 10, la volontà e il desiderio di trasmettere creano conglomerati, il dubbio asintotico dei primi due versi espone la distanza tra il cielo “effettivo” e il cielo “verbale” e scivola nell’elencazione per asindeto; il respiro si rilascia espellendo l’illusione del tutto, che poi è il dovere imposto da una comunicazione didascalica. Così, nella seconda parte (dal verso 11 in poi), il dire ragionativo, senza più zavorre “convenzionali”, diventa sempre più fluido, riesce a “riconsegnare” la parola alla sua “necessità” d’apertura, alla sua libertà ri-creante. Solo negli ultimi versi, la poesia, secondo il tragitto esposto, si dona, o meglio dona la fuoriuscita di un senso che si rinnova ripetendosi, anticonvenzionale perché comune. Gli artifici si spengono, l’apparente banalità del gesto finale illumina facendo vibrare i sensi: la madre è finalmente libera di offrire alla figlia il mondo, la sua “infima” evidenza; la sua parola indica, appunto, senza il vincolo dell’ammaestramento, l’appartenenza al mondo stesso, l’elencazione lascia il posto all’analogia, l’abbraccio essenziale tra le cose: come la bimba, da “quel” cielo «sbuca fuori un uccellino/ pronto al volo».


Ti porto
come il più necessario dei pesi
il più caro
il più doloroso
soma d’inerme bellezza
che mai più, mai più.
Sulle spalle ti porto
sono un uomo piegato
che strazia i punti cardinali
con la tua esposizione
un dio deposto
che ti lascerà cadere
frammentata in meteore
a fecondare la terra
su cui ora strisciano le fronti.
E cadranno i tuoi occhi
irraggiando cupole e vicoli di nerezza
cadranno le tue gambe
moltiplicando tumuli e altari
cadrà il velo dei tuoi capelli
su ogni operosità e ogni rinuncia
cadrà il tuo ventre
l’humus del sesso
a colmare i solchi perimetrali
cadrà anche la chiostra dei tuoi denti
ad azzannare l’aria del precipizio
e spalancare i templi.
Il tuo corpo smembrato
fonderà città e territori.
Il tuo corpo smembrato
edificherà la topografia del lutto.

(Inedito)


L’inedito sembra prendere spunto da quella versione del mito induista di Sati e Śiva, secondo la quale quest’ultimo – a seguito del sacrificio della moglie causato dagli insulti rivolti dal padre di costei nei confronti dello stesso Śiva – in preda alla follia, prende sulle spalle il corpo della moglie, cominciando a danzare. Altre divinità, al cospetto di questa scena, preoccupate per le eventuali conseguenze negative, decidono di invocare Viśnu, il quale smembra il corpo di Sati, le cui parti, cadute in svariati punti del territorio indiano, costituiscono, a tutt’oggi, dei luoghi sacri.
La conferma, o meno, di tale ipotesi non ostacola la necessità di nominazione che muove la scrittura della Liberale. Se nel primo testo si avvertiva il peso del dubbio – specialmente nella prima parte, come abbiamo visto – sulle capacità ri-creanti della parola, adesso lo stesso dubbio è risolto nella fiducia (o fede) “affabulatoria”. Il μῦϑος, risalendo il suo corso etimologico, è racconto, parola, origine sonora, l’azione di dar fiato alla bocca è matrice dello sviluppo successivo della trasformazione di un gesto in possibilità di comprensione. Le comunità hanno i loro miti da cui si è poi biforcata la Storia. Ancora accumuli di memoria e di senso ci permettono di svolgere la trama testuale: il climax discendente negli attributi presenti nei versi 2-5, “necessario”, “caro”, “doloroso”, “inerme”, fino alla scomparsa, «mai più, mai più» (v. 6). Il racconto della vicenda, poi, ha un ritmo scandito e quasi sincopato in versi di misura breve, concentrati, il respiro è contratto, incalzante. In poesia, il racconto non ha bisogno della prosa ma di un ritmo, in questa direzione l’inedito della Liberale manifesta l’evoluzione di una parola che, nell’essenziale, ha la sua forza, anche quando la necessità del dire, nella sua incombenza, cerca di farsi exemplum. La sensazione è che, dalla relazione intima con la figlia del primo componimento, si sia passati a una fase di confronto educativo più ampio ed “esterno”, per questo la scrittura poetica, adesso, sembra confrontarsi con quelle capacità affabulatorie e di trasmissione che, comunque già nel primo testo, erano avvertite come necessità e dovere.
Un ultimo appunto sulla conclusione dell’inedito: nei miti il sacrificio, oltre ad offrire funzioni catartiche, liberatorie (anche la fede in una parola che è in grado di esporre il proprio mythos è liberazione, della parola stessa dal dubbio di non poter nominare, come abbiamo osservato più volte), è fulcro di un riconoscimento comunitario nell’accettazione della norma. Il rischio è sempre in agguato nell’evidenza e Liberale lo sa: «Il tuo corpo smembrato/ fonderà città e territori./ Il tuo corpo smembrato/ edificherà la topografia del lutto» (vv. 28-31). Nel mito cui facevamo cenno all’inizio, il suicidio di Sati potrebbe essere all’origine di quella pratica funeraria chiamata Mahasati, la grande sati, o la Sahagamana, la dipartita congiunta, cioè l’antica usanza indù di cremare viva la vedova sulla pira funebre del marito morto.

(Giugno 2014)


Laura Liberale è laureata in Filosofia e dottore di ricerca in Studi Indologici. Dal 2006 tiene corsi e seminari di scrittura creativa. Ha ottenuto riconoscimenti in svariati premi di poesia e narrativa. Suoi testi sono apparsi su riviste e antologie. Ha pubblicato, oltre ad alcuni saggi indologici, i romanzi Tanatoparty (Meridiano Zero, 2009) e Madreferro (Perdisa Pop, 2012); le raccolte poetiche Sari – poesie per la figlia (d’If, 2009) e Ballabile terreo (d’If, 2011). È inoltre tra gli autori di Nuovi poeti italiani 6 (Einaudi, 2012). È co-curatrice dell’antologia Sogni senza Frontiere (Edizioni dell’Arco, 2013) e curatrice dell’antologia Père-Lachaise. Racconti dalle tombe di Parigi (Ratio et Revelatio, 2014).

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