Per il week-end: La lingua italiana

Dialetto

Bisogna farli parlare.
Non la risposta alle interrogazioni, ma quello che sentono e dicono tra loro è prezioso sapere.
Mi volto alle parole più concitate di qualche gruppo, e provo a chiedere: cosa?; ma sorridono e si ritirano rispettosi.
Bisogna imparare il dialetto, unica lingua dei loro pensieri.
Far presto a imparare questo dialetto, anzi lingua veneta, così armoniosa e sensitiva.
Io che vorrei sapere tutti i dialetti d’Italia, anziché il dialetto toscano dei letterati.
Ogni dialetto rappresenta una terra e un sangue che deve trovar luogo così nella patria come nella lingua italiana.
E che potenza e che varietà di creazione i dialetti di questo popolo ramingo, che ha un piede sui ghiacci dell’Alpi e uno sulle lave dei vulcani!
Unità della lingua vuol dir questa contribuzione.

(Piero Jahier, Con me e con gli alpini, 1918).

promessi-sposi-1827

Frontespizio dell’edizione Ferrario (1827)

«To’,» disse Renzo: «è un poeta costui. Ne avete anche qui dei poeti: già ne nasce da per tutto. Ne ho una vena anch’io; e qualche volta ne dico delle belle… ma quando le cose vanno bene.»
Per comprendere questa inezia del povero Renzo, bisogna sapere che, presso il volgo di Milano, e del contado ancor più, poeta non significa già, come per tutti i galantuomini, un sacro ingegno, un abitator di Pindo, un allievo delle Muse; vuol dire un cervello bizzarro e un po’ balzano, che nei discorsi e nei fatti abbia più dell’arguto, e del nuovo e del ragionevole. Tanto quel guastamestieri del volgo è ardito a manomettere le parole, e a far loro dire le cose più lontane e disparate dal loro legittimo significato! Perchè, vi domando io, che ha a fare poeta con cervello balzano?

(Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi, 1827 – cap. XIV).

«To’,» disse Renzo: «è un poeta costui. Ce n’è anche qui de’ poeti: già ne nasce per tutto. N’ho una vena anch’io, e qualche volta ne dico delle curiose… ma quando le cose vanno bene.»
Per capire questa baggianata del povero Renzo, bisogna sapere che, presso il volgo di Milano, e del contado ancora più, poeta non significa già, come per tutti i galantuomini, un sacro ingegno, un abitator di Pindo, un allievo delle Muse; vuol dire un cervello bizzarro e un po’ balzano, che, ne’ discorsi e ne’ fatti, abbia più dell’arguto e del singolare che del ragionevole. Tanto quel guastamestieri del volgo è ardito a manomettere le parole, e a far dir loro le cose più lontane dal loro legittimo significato! Perchè, vi domando io, cosa ci ha che fare poeta con cervello balzano?

(Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi, 1840, – cap. XIV).

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