NUOVA POESIA MESSINESE (1ª parte)
Diego Conticello
La distruzione delle cose
a Fabio Pusterla
Riflessi,
nuovamente piegati
soggiogati buoi/bestie
alla morsa del tempo
al buio come morte.
La distruzione delle cose.
E i nomi lì a rifulgere,
rifiutare di piegarsi,
di nuovo fare luce.
***
Cosmagonia
a Lucio Piccolo
Se un’enorme massa,
una dell’infinita
gragnuola
trapassante le galassie,
sfondasse i fragili
veli sferici
ad un’ora, ad un tempo preciso,
avremmo un’altra Tunguska,
impensati megatoni
del tramonto.
Questione di traiettorie,
risucchi implosivi
per cui siamo
conigli abbagliati,
sagome inutili
inette a smuoversi.
Chimiche brillanti
attraversano le ere
proiettando particole, orologerie
cieche puntate nelle tenebre,
luci scottanti della fine
l’universo enfiato
in un punto
che tutto sugge,
il nero foro dei mondi,
ombra contratta,
nulla allo stato puro.
Oscureremo per troppa chiarità,
un collasso
per veemenza di stelle…
entropia
non è piacere
di belle metafore e brune
ma morte della luce,
fuga da grazia
materna,
totale penetrazione
del gelo.
In un grande strappo
il mietitore fosco
espanderà questa
illusione vitale
esternandola all’oscura potenza
sebbene
serbiamo il segno,
unica serie di curve
al limite del sensibile
nella sera del cosmo.
La distruzione delle cose è il gioco allitterante proposto per una poetica della resilienza, della capacità, in questo caso delle parole, di sopportare i colpi distruttivi di un’estinzione che appare, agli occhi del poeta, incipiente. Non è un caso, infatti, la dedica a Fabio Pusterla, la cui poetica è esplicitamente diretta alla tutela del messaggio umano nel verbo – in quest’epoca post-umana. Il suono, allora, l’intento di un canto a «rifulgere,/ rifiutare di piegarsi// di nuovo fare luce» (vv. 7-9).
Cosmagonia, o della possibile, improvvisa fine. Ancora una riflessione, dunque, sull’ineluttabilità di un termine, di un confine che limita le nostre esistenze. La potenzialità della soglia, è certo, fa in modo che con le parole l’uomo agisca per una conservazione del «segno,/ unica serie di curve/ al limite del sensibile/ nella sera del cosmo» (vv. 45-48), ma, allo stesso tempo, induce a una riconsiderazione della nostra fragilità e le cadute per inarcamento di questi versi finali sembrano suggerircelo. Come in Piccolo (nume tutelare per Conticello): «È una mobile soglia che divide, unisce due zone;/ ma non sappiamo dove sorga la memoria/ e dove cominci l’invadenza discreta del flusso lunare» (E intanto la notte è venuta, in L. Piccolo, Plumelia, La seta, Il raggio verde e altre poesie, Scheiwiller, Milano 2001, p. 90, vv. 18-20).
I testi di Conticello vivono lucidamente il loro tempo, aggiornati e taglienti, aperti agli influssi della migliore tradizione italiana contemporanea e magistralmente radicati all’assolutezza etica che contraddistingue le migliori espressioni dell’isola (Piccolo, lo abbiamo visto, ma non dimenticherei Cattafi e le sue asprezze ctonie).
Il riferimento alle propensioni terragne della lingua poetica siciliana ci permette di ragionare su due testi esemplari, in tal senso, di Enrico De Lea.
Enrico De Lea
II.
Serba memoria d’alba,
camminate tra lo spino
e un rintocco calcareo, salvezza
sconosciuta dalle serpi.
Ritrova una salvezza altra,
di radura, la morte subitanea
dei vigneti, con la finzione
divenuta vita.
***
III.
Una frase anch’essa
calcarea, al suo spaccarsi
a un fuoco di fornace,
rende una crepa al cielo, troppo
vicino da escludersi.
Colmo di ogni ramo, esausto,
che qui s’innalza, collo
come di bestia antica
incattivita, resta,
sul vetro alle finestre, vapore
di erbe cotte della selva.
Entrambe le poesie appartengono alla serie Da un’urgenza della terra-luce (ass. La Luna, 2011), una sequenza di dieci frammenti incentrata sull’appartenenza “ctonia”, appunto, a un luogo materno: l’isola, è certo, anche se le scelte lessicali suggeriscono, quasi per sineddoche, un rapporto viscerale alla terra nel suo complesso. L’aspetto relativamente duro di una sedimentazione, direi archeologica, delle parole come delle esistenze siciliane, permette una riflessione sulle spaccature della lingua di De Lea, sulle sue crepe (e che cos’è una crepa se non un’altra soglia) pronte ad aprirsi al «cielo, troppo/ vicino da escludersi» (III., vv. 4-5). Ecco scaturire una lingua da quelle fenditure magmatiche delle origini, pronta ad espandere per necessità il suo orizzonte, anche con la forza «di bestia antica/ incattivita» (Ibid., vv. 8-9). Eppure dal «rintocco calcareo» di questi versi emerge la speranza insita nella conservazione di una tradizione attraverso un ricordo aurorale, sacralmente eterno: è ancora la facoltà sonora, il canto di questo linguaggio che sembra indifferente alle dinamiche accademiche, ai cavilli sul lirismo e l’anti-lirismo, a farci reimpossessare di un fondamento del linguaggio poetico. Sì, solo il canto è memoria, apertura nei rintocchi dei suoi ritmi: «Serba memoria d’alba,/ camminate tra lo spino/ e un rintocco calcareo, salvezza/ sconosciuta dalle serpi» (II., vv. 1-4), sibila e rimbomba sulle labbra la lingua e la memoria si riattiva in questi suoni striscianti, nell’allarme.
Gianluca D’Andrea
(Gennaio 2014)
Diego Conticello, nato a Catania nel 1984. Specializzato in Letteratura e filologia moderna all’università di Padova con una tesi sulla poesia contemporanea in Sicilia (La curva mediterranea. Caratteri della poesia contemporanea in Sicilia, con monografie su Lucio Piccolo, Bartolo Cattafi, Nino De Vita, Angelo Scandurra, Melo Freni e Lucio Zinna, relatore Silvio Ramat). Collabora con la rivista QuiLibri de La Vita Felice di Milano. Sue poesie e articoli critici sono usciti su Incroci, Arenaria, Leggere Tutti, Centonove e blog come Poetarum Silva, alleo, Tellusfolio, Imperfetta ellisse, Paginatre ed altri. Sue poesie sono state tradotte in spagnolo per la rivista annuale Fragmenta II da Pablo Lopez Carballo. Ha scritto un volume di critica poetica per immagini su Lucio Piccolo (Lucio Piccolo. Poesia per immagini «Nel vento di Soave». Cittaperta edizioni 2009). Nel 2010 è uscito il suo primo volume di poesia (Barocco amorale, LietoColle con prefazione di Silvio Ramat). Della sua poesia si sono occupati, tra gli altri: Giorgio Linguaglossa, Antonio Spagnuolo, Sebastiano Saglimbeni, Fabio Michieli, Maddalena Capalbi, Angelo Scandurra, Melo Freni, Lucio Zinna, Marzia Alunni e altri.
Enrico De Lea (1958) dal 1988 vive nell’alto-milanese, originario di quell’area della Sicilia tra Messina e la Valle d’Agrò (in particolare Casalvecchio Siculo), a nord del taorminese. Pubblica nel 1992 la raccolta Pause (Edizioni del Leone) e nel 2009 la raccolta Ruderi del Tauro (L’Arcolaio Editore, Finalista al Premio Lorenzo Montano 2010 – Verona). Suoi inediti sono stati premiati al Premio Poesia di Strada 2010 (Macerata – Festival Licenze Poetiche), dove è stato finalista nel 2011. Con una raccolta inedita è stato finalista al Premio Miosotis 2010 – Edizioni d’IF – Napoli. Nel 2011 è stato, altresì, finalista al Premio Lorenzo Montano 2011 – Verona, con la raccolta inedita La furia refurtiva. Suoi testi sono apparsi sulle riviste Specchio (de La Stampa), Sud, Atelier (su cui è stata anticipata Acque reali, poi sezione di Ruderi del Tauro); in rete, suoi testi sono apparsi su La poesia e lo spirito (di cui è collaboratore), su Rebstein – La dimora del tempo sospeso, Nazione Indiana, Compitu re vivi, Imperfetta Ellisse, Clepsydraedizioni, Mutter Courage, Filosofi per caso. Il suo blog da presso e nei dintorni raccoglie parte della sua produzione.
grazie gianluca le tue parole sono quantomai necessarie perchè spesso uno stile complesso rischia di naufragare sotto i colpi inferti dalla banalitá imperante. e tu riportandolo a terra lo fai risuonare in maniera più ampia e stratificata. ancora grazie. diego
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Testi precisi e netti, quelli proposti, Conticello vi raggiunge una dimensione della scrittura pregnante, allusiva e polisemica. Si tratta di una ricerca espressiva finemente e consapevolmente affrontata, fedele ad un’idea di poesia, originaria nel fondamento, ma innovativa nelle sue istanze. Il linguaggio segue un percorso di svecchiamento della lingua, ma senza scardinare, in una visione ricca e integrata della testualità che non esclude una certa libera eleganza. Il messaggio poi, per così dire, è centrato nell’assoluta responsabilità di scrivere bene per restituire senso e valore alle cose più giuste e vere, talvolta trascurate anche dagli intellettuali. Marzia Alunni
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non conoscevo la poesia di Diego e me ne congratulo per la
cifra e per il talento. Su Enrico che dire, bellissima nota, degna
di un critico stra conosciuto…:)
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[…] sui testi dei redattori del blog e fondatori della NSM, pubblicate precedentemente in altra sede (Gianluca […]
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